La variante, alla quale non sono state associate condizioni clinicamente rilevanti, è stata identificata durante alcuni test di screening, eseguiti da una donna alla nona settimana di gravidanza. La scoperta, pubblicata sulla rivista Blood Cells, Molecules, and Diseases.

L’emoglobina J (HbJ) è una variante rara dell’emoglobina, la proteina contenuta nei globuli rossi deputata al trasporto di ossigeno. Ad oggi, sono note circa 70 forme di HbJ, alle quali si aggiunge la recente caratterizzazione di una nuova emoglobina J, individuata in una donna di 35 anni alla nona settimana di gravidanza. La scoperta, pubblicata sulla rivista Blood Cells, Molecules, and Diseases, è avvenuta grazie a una collaborazione tra le unità di Ematologia del Policlinico Tor Vergata e quella di Genetica del Bambino Gesù di Roma. Come consuetudine, anche a questa variante è stato attribuito il nome della città in cui è stata identificata per la prima volta: HbJ Roma.

L’emoglobina è una molecola polimerica formata da 4 subunità, ovvero le catene globiniche che la compongono. Esistono diverse varianti della molecola, ma quella più diffusa è l’emoglobina A (HbA), formata da 2 catene globiniche alfa (α) e 2 beta (β). Le varianti HbJ derivano quasi sempre da mutazioni puntiformi nei geni che codificano per la catena α: HBA1 e HBA2. Queste mutazioni determinano variazioni strutturali nella molecola di emoglobina, le quali però non compromettono la capacità di legare l’ossigeno. Ne abbiamo parlato con Carmelo Gurnari, ricercatore in ematologia presso il Dipartimento di Biomedicina e Prevenzione dell’Università degli Studi di Roma Tor Vergata :

“La maggior parte dei casi di HbJ è clinicamente silente e la diagnosi avviene per caso, spesso nel contesto di consulenze prenatali. Nei casi, rari, in cui l’emoglobina J presenta dei risvolti patologici è associata ad altri tipi di emoglobinopatie, che possono manifestarsi con alterazioni nell’emocromo o anemie emolitiche”.

L’HbJ Roma è stata identificata in una donna incinta alla nona settimana di gravidanza, nel corso di test di screening eseguiti da normale routine. “La paziente era venuta a visita spaventata per un’alterazione del tracciato elettroforetico dell’emoglobina, emersa in una precedente visita”, continua Gurnari. Il tracciato elettroforetico è un’analisi utilizzata per determinare la presenza di proteine anomale oppure l’assenza di proteine normali o la loro quantità rispetto alla norma.

“Il timore era che si potesse trattare di un’emoglobinopatia, ma non c’erano segni di alterazione nell’emocromo, e il tracciato di quell’emoglobina anomala era molto simile a quello dell’emoglobina J”. Per escludere del tutto la possibilità che si trattasse di un’emoglobinopatia ereditaria, sono stati condotti ulteriori esami sia sulla paziente che sui suoi familiari, che hanno confermato l’assenza di alterazioni dell’emocromo e del metabolismo glucidico nella paziente e nei suoi familiari. “È importante precisare che la presenza di un’emoglobina J può dare delle valutazioni errate sull’HbA1, che, insieme ad altri, è un marker utile per la diagnosi di diabete gestazionale. Perciò, sapere che è presente questa variante può evitare diagnosi errate anche in questo contesto”. Il tracciato elettroforetico dell’emoglobina mostrava invece alterazioni simili, e che potevano essere ricondotte a una variante J, anche nel padre e nel fratello della donna.

Per avere conferma che si trattasse di un’emoglobina J, sono stati sequenziati i geni delle catene alfa dell’emoglobina, HBA1 e HBA2.

L’analisi ha rilevato la presenza di una mutazione che, una volta confermata, è stata confrontata con le varianti già note presenti nei database, scoprendo che si trattava di una forma non ancora identificata: l’HbJ Roma.

“In Italia le emoglobinopatie, anche allo stato di portatore sano, sono piuttosto frequenti. Per questo è importante distinguere le emoglobine che veramente possono causare patologie gravi in termini di morbilità e mortalità, come la talassemia o l’anemia a cellule falciformi, dalle emoglobine come l’HbJ, che invece non hanno assolutamente nessun tipo di correlato clinico, anche se possono dare un tracciato elettroforetico paradossalmente identico, se non peggiore, di quello delle emoglobinopatie”, conclude Gurnari.

La pubblicazione originale è disponibile a questo link: https://doi.org/10.1016/j.bcmd.2025.102920

A proposito dell'autore