Un nuovo studio retrospettivo su donne con trombosi venosa profonda, condotto presso la Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS di Roma, suggerisce che il trattamento anticoagulante oltre i 6 mesi migliora i risultati di ricanalizzazione completa.
Nelle persone con patologia oncologica è spesso richiesto l’inserimento di un catetere venoso centrale per la somministrazione delle terapie. In questi pazienti, una possibile complicanza è la trombosi venosa profonda degli arti superiori correlata a catetere, per la quale i farmaci anticoagulanti sono il principale pilastro terapeutico. Tuttavia, la durata ottimale del trattamento rimane ancora una questione non chiara. Uno studio retrospettivo pubblicato sul Journal of Thrombosis and Thrombolysis analizza questo aspetto, focalizzandosi in particolare sulle donne, gruppo spesso sottorappresentato nelle ricerche sulla trombosi.
I cateteri venosi centrali possono danneggiare la parete del vaso e modificare il flusso sanguigno, favorendo la formazione di coaguli e aumentando, quindi, il rischio di trombosi.
Le pazienti con cancro presentano già di per sé un rischio trombotico ed emorragico superiore alla popolazione generale, e l’obbligo di mantenere in sede il catetere per lunghi periodi ne complica la gestione.
“I cateteri venosi, utilizzati per le terapie oncologiche, possono essere inseriti in diverse sedi. Noi ci siamo focalizzati su quelli degli arti superiori, perché le evidenze in letteratura sulle trombosi degli arti superiori correlate a cateteri sono ancora frammentarie e basate su studi osservazionali”, ci spiega il professore Roberto Pola, responsabile della UOSD Percorso Trombosi presso la Fondazione Policlinico Universitario A. Gemelli. “In particolare, ci siamo focalizzati sulla durata e sulla scelta del trattamento, e sulla prevenzione delle recidive una volta raggiunta la risoluzione della trombosi”.
Lo studio ha analizzato i dati di 113 donne con neoplasia attiva e trombosi correlata a catetere, tutte trattate con almeno tre mesi di anticoagulazione, valutando recidive, sanguinamenti e ricanalizzazione del trombo fino a 12 mesi. “Nei primi tre mesi l’85% di queste pazienti è stata trattata con eparina, quindi con un trattamento anticoagulante per via iniettiva; mentre poi, nei mesi successivi, è aumentato progressivamente l’utilizzo anche degli anticoagulanti orali. E superati i sei mesi, la maggior parte di loro ha continuato la terapia anticoagulante orale, ad una dose ridotta, utilizzata per prevenire le recidive trombotiche”, ci spiega il professore Pola. I risultati hanno mostrato un tasso annuale di recidiva molto basso, dello 0,5%, a fronte di un rischio emorragico complessivo dell’1,9%.
Nel complesso, i dati suggeriscono che tre mesi di terapia possano rappresentare una durata sufficiente per molte pazienti (circa il 51%), ma l’estensione oltre questo periodo, utilizzando anticoagulanti orali diretti, potrebbe aumentare la percentuale di ricanalizzazione completa.
“Il dato di efficacia del trattamento anticoagulante prolungato è molto interessante, perché abbiamo visto una completa ricanalizzazione, ovvero la risoluzione della trombosi venosa, nell’87% delle pazienti oltre i sei mesi. Questo ad indicare che è opportuno fare dei trattamenti prolungati in questo tipo di trombosi”, conclude il professore Pola.
L’articolo originale di Cavallaro, C., Santini, P., Leoni, L. et al. Long term anticoagulation for Catheter-Related deep vein thrombosis of the upper extremities in women with cancer: retrospective analysis of effectiveness and safety outcomes, pubblicato su Journal of Thrombosis and Thrombolysis è disponibile al seguente link: https://doi.org/10.1007/s11239-025-03182-3