I risultati di uno studio in real life confermano l’efficacia del momelotinib nel correggere l’anemia e nel migliorare anche la qualità della vita nei pazienti con mielofibrosi.

Già da qualche anno sappiamo che il momelotinib è una terapia valida per la mielofibrosi, soprattutto per contrastare l’anemia. Alla fine del 2023, il farmaco è stato infatti approvato dalla Food and Drug Administration (FDA), l’ente statunitense per la regolazione dei farmaci, e in seguito anche da quello europeo e introdotto in commercio. Un recente studio, pubblicato sull’European Journal of Haematology, ha valutato l’effetto del medicinale in un contesto ospedaliero quotidiano, in gergo detto real life. Questa tipologia di studi aiuta a completare le informazioni sull’efficacia e sicurezza delle terapie, in condizioni più realistiche rispetto a quelle dei grandi trial clinici che devono essere strettamente regolamentati. In particolare, lo studio si è focalizzato sull’effetto del momelotinib sull’anemia e ha fornito risultati positivi anche sulla qualità di vita.

La mielofibrosi è un tumore del sangue raro associato a una serie di sintomi con un serio impatto sulla qualità di vita dei pazienti. Tra i più comuni, si elencano l’anemia, ovvero una riduzione del numero di globuli rossi, la splenomegalia, l’ingrossamento della milza, e altri, quali affaticamento e febbre. La terapia per la mielofibrosi è il ruxolitinib, un medicinale efficace a contrastare la splenomegalia e a controllare gli altri sintomi, ma che, in alcuni casi, può portare persino a un peggioramento dell’anemia. È per questo motivo che di recente è stato introdotto in clinica anche il momelotinib.

 

Infatti, oltre ad avere la stessa azione farmacologica del ruxolitinib, questo farmaco è in grado di stimolare in modo indiretto anche la produzione dei globuli rossi.

 

Gli studi clinici MOMENTUM e SIMPLIFY 1 e 2 hanno dimostrato che può migliorare l’anemia sia in pazienti che prima avevano precedentemente assunto il ruxolitinib, o altri farmaci, che nei pazienti in cui veniva somministrato in prima linea.

Tra il 2022 e il 2024, dodici centri ospedalieri nel Sud Italia hanno condotto uno studio retrospettivo in un gruppo di circa 40 pazienti con mielofibrosi trattati con il momelotinib in prima e seconda linea. All’interno dell’Expanded Access Programm, è stato possibile somministrare il farmaco a questi pazienti qualche anno prima della sua commercializzazione, che in Italia è avvenuta nel corso del 2025. “Volevamo approfondire soprattutto l’effetto del farmaco sull’anemia, quindi abbiamo diviso i pazienti anemici tra coloro che erano trasfusione-dipendenti e quelli indipendenti”, spiega Roberto Guariglia dell’Ospedale San Giovanni di Dio e Ruggi d’Aragona, che ha partecipato allo studio. Essere trasfusione-dipendenti significava essere stati sottoposti a tre o più trasfusioni di sangue nei tre mesi precedenti alla terapia. Si trattava quindi di casi con un’anemia severa e più complessa da gestire rispetto a quella dei pazienti trasfusione-indipendenti.

 

In seguito al trattamento con momelotinib, circa la metà dei pazienti ha risposto alla terapia con un miglioramento dell’anemia. In particolare, la maggior parte dei casi trasfusione-dipendenti – quindi con un’anemia più grave – ha raggiunto un livello sufficiente di emoglobina tale da poter interrompere le trasfusioni per un periodo di almeno tre mesi.

 

Oltre a questo, il momelotinib ha ridotto la splenomegalia ed è stato ben tollerato dai pazienti che hanno partecipato allo studio. Fino a questo punto i risultati sono stati in linea con quelli dei trial clinici MOMENTUM e SIMPLIFY-2 che hanno portato all’approvazione della terapia. Inoltre, rispetto a quanto osservato nello studio SIMPLIFY-1, il gruppo ha potuto constatare anche un miglioramento dei sintomi costituzionali e quindi della qualità di vita in metà dei pazienti.

“Siamo consapevoli che il nostro studio presenti dei limiti legati soprattutto alla natura retrospettiva della raccolta dei dati e al breve follow-up dei pazienti”, commenta Guariglia. “Però rappresenta le condizioni di reale utilizzo del momelotinib nella pratica clinica, dove i pazienti non sono selezionati”. Nei prossimi mesi, i ricercatori continueranno a studiare l’effetto della terapia, aumentando il numero di partecipanti e allungando il tempo di follow-up. È probabile, infatti, che molti pazienti infatti siano stati dichiarati non sensibili all’effetto di momenlotinib solo per la brevità del tempo di osservazione.

 

L’articolo originale di M. C. MartorelliN. Pugliese M. Di Perna , et al., Efficacy of Momelotinib in Myelofibrosis Patients: Results From a Multicenter Study, pubblicato sull’European Journal of Haematology, è disponibile al seguente link: https://doi.org/10.1111/ejh.70034