È stata approvata dalla Commissione Europea la commercializzazione del momelotinib, il primo farmaco per il trattamento dei pazienti anemici con mielofibrosi.
Il 20 gennaio 2024 la Commissione europea ha autorizzato la commercializzazione di momelotinib per la cura dei sintomi della mielofibrosi per pazienti con anemia. Questa decisione è stata presa alla luce dei risultati positivi di tre studi clinici prospettici randomizzati: il MOMENTUM, il SIMPLIFY-1 e il SYMPLIFY-2. Il farmaco potrà essere utilizzato in Italia non appena avrà ricevuto l’approvazione da parte dell’AIFA, l’ente italiano per la regolazione dei farmaci.
La mielofibrosi
La mielofibrosi è un tumore del sangue raro, che si manifesta in circa una persona ogni 10.000. È provocato da una crescita eccessiva dei fibroblasti nel midollo osseo che altera il normale processo di produzione delle cellule del sangue. In media si presenta intorno ai 65 anni di età e le prospettive di sopravvivenza non superano i 6 anni dal momento della diagnosi. La sintomatologia è caratterizzata da senso di affaticamento, febbre e sudorazioni notturne, splenomegalia, ovvero l’aumento delle dimensioni della milza, le trombosi o le emorragie. In aggiunta, alla diagnosi o durante il percorso di cura la quasi totalità dei pazienti si ritrova ad affrontare l’anemia, una riduzione patologica dei livelli di emoglobina che può compromettere le qualità di vita e rendere più difficile la cura.
Le terapie
Negli ultimi anni sono stati fatti grandi progressi nella cura della mielofibrosi. Si è passati dall’unica e invasiva opzione del trapianto di midollo osseo, spesso non applicabile sui pazienti più anziani, a quella mirata dei farmaci a bersaglio molecolare. Questo salto è stato possibile grazie alla scoperta nel 2005 del ruolo della mutazione del gene JAK2 nell’insorgenza della mielofibrosi – seguita dalla scoperta di mutazioni nel gene MPL nel 2006 e CALR nel 2013 – che ha consentito lo sviluppo di farmaci mirati a inibire l’eccessiva attività di queste proteine nelle cellule.
Tra i JAK inibitori più utilizzati oggi, anche in Italia, ci sono il ruxolitinib e il fedratinib. Il ruxolitinib è la terapia principale per i pazienti non anemici, sostituito da fedratinib nei casi in cui determina tossicità o perde efficacia. Il fedratinib, talvolta può essere utilizzato anche come prima scelta.
Nonostante la sua efficacia nel ridurre la splenomegalia e diversi sintomi, il ruxolitinib provoca anemia e trombocitopenia, attivando una serie di meccanismi che possono peggiorare la prognosi. In presenza di questi sintomi il dosaggio del farmaco viene ridotto o la terapia interrotta, riducendone l’effetto. Inoltre, l’interruzione del farmaco deve essere graduale per il rischio di favorire l’insorgenza della sindrome da discontinuità, che a sua volta esaspera i sintomi di splenomegalia, anemia e trombocitopenia.
Il momelotinib
“Oltre a JAK-1 e 2, il momelotinib inibisce con elevata efficacia anche AVCR1, il recettore 1 della activina”, spiega Alessandro Maria Vannucchi, professore ordinario presso il dipartimento di Medicina Sperimentale e Clinica dell’Università di Firenze. Si tratta di una proteina che in modo indiretto, attraverso la regolazione dei livelli di ferro e di epcidina nell’organismo, aumenta l’eritropoiesi, il processo di produzione dei globuli rossi.
“Questo bersaglio specifico giustifica l’efficacia di momelotinib nel migliorare l’anemia nei pazienti con mielofibrosi”, spiega il ricercatore.
In un articolo pubblicato su HemaSphere e in una lettera all’editore di Haematologica, Alessandro Vannucchi e i suoi colleghi hanno confrontato i risultati dei tre studi clinici sul momelotinib che sono stati decisivi nel determinare l’autorizzazione da parte della Commissione Europea. Nel complesso il SIMPLIFY-1, il SIMPLIFY-2 e il MOMENTUM hanno coinvolto 783 pazienti con mielofibrosi e anemici in momenti diversi del percorso clinico, per confrontare gli effetti della terapia con momelotinib rispetto ai farmaci standard. Lo studio SIMPLIFY-1 è stato condotto su due gruppi di pazienti mai trattati in precedenza con i JAK inibitori, a cui è stato somministrato il ruxolitinib o il momelotinib. Il SIMPLIFY-2 e il MOMENTUM invece hanno coinvolto pazienti che avevano già sviluppato anemia in risposta al ruxolitinib e splenomegalia, per osservare la loro reazione in seguito al passaggio alla terapia con momelotinib.
L’efficacia di momelotinib
Dopo un periodo di monitoraggio variabile da 9 mesi a più di 3 anni a seconda dello studio, il momelotinib ha portato a una riduzione della splenomegalia e dei sintomi della mielofibrosi, rispetto ai partecipanti di controllo che hanno proseguito con le cure standard.
Inoltre, la somministrazione di momelotinib è stata associata a una maggiore continuità nel trattamento, un minore ricorso alla trasfusione e infine a una sopravvivenza più prolungata. “In particolare lo studio MOMENTUM ha confrontato gli effetti di momelotinib con danazolo, un farmaco utilizzato per la sua potenziale attività antianemica”, commenta Alessandro Vannucchi:
“Dall’analisi del sottogruppo dei soggetti anemici è emerso che il momelotinib è significativamente più efficace”.
Grazie ai risultati prodotti da questi studi diversi, comparabili tra di loro, il momelotinib ha dimostrato quindi essere una valida terapia di prima e seconda linea. “Un paziente con anemia associata a ruxolitinib può passare a momelotinib in modo consequenziale, senza dover effettuare alcuna interruzione del trattamento”, afferma Alessandro Vannucchi. “Così si evita il rapido peggiorare dei sintomi che insorge dopo la sospensione di ruxolitinib, e si anticipa l’effetto terapeutico di momelotinib”.
Prima che questo promettente farmaco entri nella pratica clinica, deve terminare il processo di accettazione da parte dell’AIFA. Si spera quindi che a breve sia approvato e incluso tra i farmaci rimborsabili dal Sistema Sanitario Nazionale, come è il ruxolitinib dal 2017.