Uno studio pilota suggerisce un possibile legame tra sferocitosi ereditaria e lieve compromissione cognitiva. I risultati, da confermare su campioni più ampi, indicano l’importanza di approfondire gli effetti sistemici delle anemie croniche.
La sferocitosi ereditaria, una delle anemie genetiche più comuni in Europa, potrebbe avere effetti finora trascurati sul funzionamento cognitivo. Lo suggerisce una lettera da poco pubblicata sul British Journal of Haematology. Secondo le autrici e gli autori, nelle persone con sferocitosi ereditaria, come già documentato per altre forme di anemia emolitica cronica, possono presentarsi alterazioni cognitive non riconosciute clinicamente, legate più alla storia clinica e alla gravità dell’anemia che alla sola anomalia dei globuli rossi.
Quale legame per l’anemia emolitica e le alterazioni cognitive?
In effetti, alcuni studi hanno già evidenziato come le anemie emolitiche croniche possano associarsi anche a deficit cognitivi lievi, anche tali da passare inosservati senza test specialistici. È bene specificare da subito che il quadro presenta alcuni limiti: i fattori confondenti sono molti, e le evidenze riguardanti forme emolitiche specifiche ancora limitate. Tra queste ultime, le più indagate sono l’anemia falciforme e la beta-talassemia. Nessun lavoro, invece, aveva ancora indagato la sferocitosi ereditaria, una malattia genetica caratterizzata da anemia emolitica cronica, splenomegalia e ittero.
Sono stati suggeriti diversi possibili meccanismi che potrebbero spiegare il legame tra anemie emolitiche croniche e deficit cognitivi. Per esempio, nell’anemia falciforme le alterazioni cognitive possono essere collegate a lesioni e microlesioni, anche silenti, vascolari cerebrali, mentre in alcune anemie rare, specifiche mutazioni genetiche associate alla malattia possono avere un impatto diretto sul cervello. La presenza di comorbidità, la storia clinica, anche lo stress legato alla malattia stessa, la presenza di infiammazione sistemica eccetera, sono tutti ulteriori fattori potenzialmente coinvolti nello sviluppo delle alterazioni cognitive.
Lo studio sulla sferocitosi ereditaria
Nel nuovo studio, autori e autrici hanno utilizzato una serie di test, ampiamente impiegati per la valutazione del funzionamento cognitivo (Wechsler Adult Intelligence Scale – IV (WAIS-IV). Questo strumento è stato usato per valutare il profilo cognitivo di 29 pazienti adulti con sferocitosi ereditaria, confrontandolo con quello di 74 pazienti con beta-talassemia (la maggior parte dipendente dalle trasfusioni) e quello di 45 persone sane. Un campione piccolo, quindi: d’altronde, il gruppo di lavoro stesso specifica che si tratta di uno studio pilota, potenzialmente utile comunque a motivare ricerche più ampie.
L’analisi del gruppo di ricerca mostra punteggi cognitivi inferiori nelle persone con sferocitosi rispetto ai controlli sani, nonostante un livello d’istruzione comparabile.
Non sono invece emerse differenze rispetto ai pazienti con beta-talassemia (ma i punteggi sono migliori nei pazienti che non dipendono dalle trasfusioni). In linea generale, la riduzione appare più evidente nelle prove legate alla capacità di comprendere e usare il linguaggio e alla rapidità di elaborazione mentale.
È da precisare, inoltre, che dei pazienti con sferocitosi ereditaria, 9 non erano stati sottoposti a splenectomia, cioè la rimozione della milza, raccomandata di norma nei casi più gravi per favorire la sopravvivenza degli eritrociti e ridurre i sintomi dell’anemia. Da qui emerge un altro dato: i pazienti già splenectomizzati sembrano ottenere risultati peggiori, stratificando ulteriormente il gruppo. Scrivono autori e autrici dello studio: «La splenectomia sembra differenziare ulteriormente le prestazioni cognitive, suggerendo che il principale fattore causale non sia tanto l’anomalia dei globuli rossi in sé, quanto la gravità dell’anemia e la storia clinica di ospedalizzazioni e trattamenti nelle primissime fasi della vita».
Effetti sottili
È importante sottolineare che i deficit cognitivi registrati sono lievi, tanto appunto da poter non essere notati «nemmeno da medici esperti», come scrive il gruppo di ricerca.
Gli autori però specificano che tali deficit potrebbero comunque avere un impatto sulla qualità della vita, con effetti sottili ma concreti. La loro ipotesi è che la causa non sia solo l’anemia in sé, ma anche fattori legati alla gravità della malattia nei primi anni di vita, alle ospedalizzazioni ripetute e alle trasfusioni.
Rimane comunque fondamentale rimarcare le dimensioni ancora molto limitate dello studio; saranno necessarie ulteriori ricerche, anche più approfondite dal punto di vista delle indagini genetiche e strumentali, per confermarne i risultati. Tuttavia, anche uno studio pilota può aprire strade inattese nella comprensione di malattie considerate ormai ben note.
La lettera originale di Tartaglione I, et al., Cognitive impairment in hereditary spherocytosis pubblicato sul BRITISH JOURNAL OF HAEMATOLOGY è ediposnibile al seguente link: https://onlinelibrary.wiley.com/doi/full/10.1111/bjh.70088?campaign=wolearlyview
