In un recente studio preclinico, l’eliminazione del fattore di trascrizione Id3 ha contrastato la malattia da rigetto di trapianto, senza intaccare l’effetto antitumorale del sistema immunitario.

Secondo un recente studio pubblicato sulla rivista Blood dal gruppo di ricerca di Ying Wang, del Center for Discovery and Innovation in New Jersey, il fattore di trascrizione Id3 (un inibitore del legame del DNA) potrebbe rappresentare un nuovo approccio terapeutico per il trattamento della malattia da rigetto del trapianto (Graft versus Host Disease, GvHD). “Differenti tipi di malattie ematologiche si curano con il trapianto di cellule staminali ematopoietiche. A livello immunologico, è un approccio efficace grazie alla sua azione antitumorale”, commenta Chiara Bernardi ricercatrice all’ospedale dell’Università di Ginevra. Tuttavia, il sistema immunitario del paziente può percepire le cellule trapiantate come estranee e cercare di espellerle. “La GvHD è una delle conseguenze più comuni; può portare all’insorgenza di altre complicazioni fino anche al decesso”. Bisogna quindi trovare nuovi approcci in grado di ridurre i rischi legati al trapianto.

“È molto difficile trovare cure che riducano i rischi per la GvHD, perché il rigetto del trapianto e l’attività antitumorale sono controllati da meccanismi immunologici simili”, spiega Chiara Bernardi. “Al momento, infatti, le terapie che bloccano il rigetto finiscono per interferire anche sull’effetto antineoplastico del sistema immunitario”. L’obiettivo della comunità scientifica è quindi trovare nuovi trattamenti mirati verso bersagli più specifici, capaci di distinguere un processo dall’altro.

Per la ricercatrice, “l’interesse nei confronti dell’articolo di Ying Wang nasce proprio dal fatto che sembra aver identificato in Id3 un bersaglio che modula la GvHD senza intaccare il suo effetto antineoplastico”.

Id3 è conosciuto per il suo ruolo nel modulare i processi di sviluppo e differenziazione di diversi componenti del sistema immunitario, come i linfociti T e le cellule T della memoria, specializzati nell’individuare e attaccare gli agenti patogeni e le cellule tumorali. Dallo studio di Ying Wang emerge che questo fattore di trascrizione può regolare anche l’asse PD1/PDL1. Si tratta di un complesso formato da recettore e ligando, che ha un ruolo tanto cruciale nel mediare la reazione del sistema immunitario contro il tumore, da essere diventato bersaglio di numerosi approcci di immunoterapia negli ultimi anni. “Studi sia clinici sia preclinici illustrano che PD1/PDL1 può controllare anche la GvHD”, commenta la ricercatrice. In questa via di segnalazione Id3 svolge un ruolo importante.

Come hanno mostrato gli autori dello studio, dopo un trapianto di cellule staminali aumenta l’espressione di Id3, il quale riduce l’espressione di PD1 e di conseguenza si aggrava la GvHD.

Con l’obiettivo di sperimentare un nuovo approccio terapeutico, il gruppo di ricerca ha quindi provato a colpire Id3 per interrompere all’origine questa catena di eventi. Grazie alla tecnica di editing genomico CRISPR-Cas9, i ricercatori hanno eliminato Id3 in topi di laboratorio trapiantati con cellule staminali. Hanno così osservato un aumento dell’espressione di PD1 e una riduzione dei sintomi da GvHD, come danni alla cute e all’intestino. Come evidenzia Chiara Bernardi, “i risultati dello studio dimostrano che questo effetto porta il sistema immunitario a contrastare la GvHD, senza però compromettere la sua capacità di attaccare le cellule neoplastiche”.

Ora resta da approfondire lo studio del ruolo di Id3 nel sistema immunitario e le conseguenze della sua eliminazione nel lungo termine – non solo su modelli animali – per capire se possa condurre all’effettivo sviluppo di nuove terapie. Rimane tuttavia rilevante come questo studio prospetti la possibilità di separare i due processi immunologici del rigetto e dell’attività antitumorale.

Proseguendo su questa direzione, e se i risultati saranno confermati, il trapianto di cellule staminali potrebbe diventare una cura sempre meno rischiosa per i pazienti con tumori del sangue.

 

L’articolo di Ying Wang, et al. è disponibile a questo link: https://doi.org/10.1182/blood.2023021126

Il commento di Chiara Bernardi e Federico Simonetta, qui: https://doi.org/10.1182/blood.2023022712