Il 20 aprile 2021 si è tenuto online il convegno a tema COVID-19 e malattie ematologiche organizzato da Fondazione GIMEMA e Società Italiana di Ematologia.

“Obiettivo dell’incontro – ha affermato Paolo Corradini, direttore del dipartimento di oncologia ed ematooncologia dell’Università degli studi di Milano e presidente della Società Italiana di Ematologia (SIE) – è fare il punto della situazione per quanto riguarda la relazione tra neoplasie ematologiche e COVID-19. E dare indicazioni e consigli pratici per gli ematologi su come affrontare questo tema delicato”.

Relazione fra Covid-19 e principali malattie ematologiche

In diversi paesi c’è omogeneità fra i sintomi presentati dai pazienti, ma differenze nella frequenza di alcuni di questi nel caso di pazienti immunodepressi. In particolar modo i sintomi che compaiono più spesso sono dispnea e febbre. Un risultato che emerge dall’analisi di dati internazionali di pazienti con malattie ematologiche, che ha messo in relazione fattori come età, sesso e terapia somministrata con i dati sulla severità della malattia da COVID-19, possibilità di coma e mortalità.

“Il tipo di chemioterapia seguita dal paziente non incide sui tassi di mortalità”, afferma Francesco Passamonti, professore dell’università degli studi dell’Insubria. “Per questo è fondamentale per i pazienti ematologici colpiti da COIVD-19 continuare la terapia soprattutto ora che, grazie alla vaccinazione del personale ospedaliero, può essere fatta in totale sicurezza”.

Secondo uno studio di Passamonti, pubblicato nell’ottobre del 2020 su Lancet Haematology, i pazienti immunodepressi sopra i settant’anni ricoverati con COIVD-19 hanno un tasso di sopravvivenza più basso rispetto al resto della popolazione.

Sul fronte della gestione dei pazienti con linfomi colpiti da COVID-19 c’è più incertezza. “Fra i principali linfomi ad alta incidenza di mortalità ci sono i linfomi indolenti (ndr. caratterizzati da sintomi spesso blandi e a progressione lenta)”, ha affermato Carlo Visco, professore presso il dipartimento di medicina all’università di Verona, illustrando i dati di uno studio di Regalado Artamendi dello scorso febbraio. “In questi casi influiscono molto l’età e la presenza di altre malattie, specialmente cardiache e renali”. Uno studio di O’Driscoll, pubblicato su Nature lo scorso febbraio, ha inoltre evidenziato che il tasso di mortalità per questi pazienti ha un incremento lineare sopra i trent’anni, ma non è ancora noto il ruolo avuto da alcuni farmaci e terapie nel decorso del COVID-19.

La relazione fra malattie mieloproliferative croniche – un gruppo di malattie dove il midollo osseo produce troppi globuli rossi, globuli bianchi o piastrine –  e COVID-19 è ancora più complessa, come ha spiegato Massimo Breccia, professore di ematologia dell’università degli studi di Roma Sapienza: “Più del 50% dei centri italiani di ematologia ha sospeso i trial clinici delle terapie a pazienti affetti da Covid-19 per l’insorgenza di diversi problemi”.

Malattie ematologiche e vaccini anti-Covid-19

Uno dei temi che ha ricevuto maggior attenzione negli ultimi mesi è stato quello della vaccinazione anti-COVID-19 nei pazienti ematologici. Sulla questione è intervenuto Corrado Girmenia, dirigente medico presso il policlinico Umberto I di Roma:

“Ad oggi non sono noti gli effetti collaterali dei vaccini anti-COVID-19 nei pazienti ematologici, ma si pensa che gli effetti collaterali a breve termine possano essere differenti da quelli della popolazione generale. Ciononostante rimane una priorità vaccinare i pazienti ematologici in quanto soggetti fragili e vulnerabili”.

Ma quale vaccino utilizzare? I vaccini a mRNA – Pfizer e Moderna – sono da considerare prima scelta, laddove vi sia disponibilità, per i pazienti immunologicamente compromessi e specialmente per soggetti di età inferiore ai sessant’anni.

“Per i pazienti con pregressa trombosi o che effettuano trattamenti trombotici – continua Girmenia – non vi è alcuna raccomandazione su quale vaccino utilizzare. Al contrario, ai pazienti che si sottopongo a trattamenti con farmaci che hanno azione specifica verso i linfociti B, si raccomanda rinviare la vaccinazione dopo sei mesi dalla sospensione della terapia per una maggiore efficacia vaccinale”.

Nonostante l’incertezza in un campo di studi così nuovo, il convegno ha tracciato le indicazioni per il trattamento dei pazienti ematologici colpiti da COVID-19: la priorità è la vaccinazione e continuare le terapie. Ora non resta che attendere i riscontri di nuovi studi che dovrebbero arricchire un mosaico già complesso di interazioni fra le diverse patologie.