Il 2021 è l’anno di Dante Alighieri: si celebrano i 700 anni dalla morte del Sommo Poeta, autore della Divina Commedia. Letterato, teorico della politica, esperto di linguistica e filosofo, Dante fu anche un comunicatore della scienza. La sua opera è ricca di legami con le scienze e con le conoscenze mediche del suo tempo. Numerosi sono anche i richiami al sangue, come figura retorica e come elemento anatomico di cui ne descrive l’origine.

“Elle rigavan lor di sangue il volto, che, mischiato di lagrime, a’ lor piedi da fastidiosi vermi era ricolto”

Nella Divina Commedia la parola “sangue” esordisce così, nel terzo canto dell’Inferno, dove Dante la utilizza per descrivere la pena subita dagli ospiti dell’Antinferno: “elle” sono mosconi e vespe che tormentano gli ignavi, segnati sul viso da ferite sanguinanti. Dante utilizzerà il termine altre 19 volte nell’Inferno, 17 nel Purgatorio e 10 nel Paradiso. Molteplici i significati: a volte più letterali, altre metaforici.

I tanti significati del termine sangue

Così “sangue” è uno scontro, quello decisivo tra le fazioni di Firenze profetizzato da Ciacco nel sesto canto dell’Inferno; nel primo girone è un fiume, il ribollente Flegetonte, dove sono immersi i violenti contro il prossimo, mentre scorga da un ramo spezzato nel tredicesimo canto quando Dante descrive l’incontro con i suicidi, trasformati in piante. Ma il sangue è anche sede dell’anima, secondo la convinzione medioevale e nell’Antipurgatorio, quando Jacopo da Cassera, nobile di Fano, racconta della sua morte e dice che dalle sue ferite uscì “il sangue in sul quale io (cioè l’anima, ndr) sedea”.

Il sangue come discendenza

“Nell’Inferno e fino al quinto/sesto canto del Purgatorio ci sono tanti fatti di sangue e Dante utilizza il termine soprattutto come metonimia di corporeità ferita, violenza, lotta mortale”, spiega Alberto Casadei, coordinatore del Gruppo Dante dell’Associazione degli italianisti. “Ma in tutte e tre le cantiche, seppur con maggiore frequenza nell’alto Purgatorio e nel Paradiso, la parola è usata anche per indicare la dinastia a cui si appartiene, secondo l’idea del sangue come discendenza di nobiltà o, al contrario, mancanza di nobiltà”. Accade per esempio nell’undicesimo canto del Purgatorio, girone dei superbi, dove il poeta ascolta la storia di Omberto Aldobrandeschi, esponente di una potente famiglia di Grosseto, e scrive “antico sangue” per indicare il casato aristocratico. Viceversa, il sangue si fa “brullo”, cioè privo di virtù e decadente, nel quattordicesimo, quando Dante si sofferma sul declino della nobiltà romagnola.

La scienza nella poesia di Dante

C’è poi un Dante più scientifico, che parla di sangue fisiologico, addirittura mestruale, nel discorso di Stazio del venticinquesimo canto del Purgatorio. C’è da dire che nel 1295 il poeta si immatricolò all’Arte dei medici e degli speziali: non esercitò mai, ma si pensa sia per questo che nelle sue opere sfoggi una minima conoscenza medica, descrivendo con termini tecnici parti anatomiche e processi biologici. “Non avvallerei l’idea che Dante avesse competenze mediche come le intendiamo noi. All’epoca un medico si formava più filosoficamente, sugli scritti di Aristotele e dei suoi commentatori” dice Casadei. “Però mentre cammina verso la cornice dei lussuriosi il poeta entra in una discussione generale sulla genesi del corpo e dell’anima e così fa esporre a Stazio, che comunque non era uno scienziato ma un letterato, alcune nozioni scientifiche sulla base delle teorie del tempo. Adattandole, ovviamente, al suo discorso poetico”.

L’origine del sangue nella scienza medioevale

Stazio parla di un “sangue perfetto” da cui nascerà l’embrione e nel descrivere il processo si rifà alle dottrine aristoteliche-galeniche secondo cui il sangue, prima di diventare sperma e unirsi alla donna, subisce quattro digestioni attraverso stomaco, fegato, cuore e cervello. “All’epoca di Dante non si sapeva che il sangue circolava” ricorda Mauro Capocci, ricercatore di Storia della medicina all’Università di Pisa. “La circolazione del sangue viene scoperta trecento anni dopo, nel 1616, dal medico inglese William Harvey. Perciò Dante parla di un sangue prodotto a partire dal cibo, nello stomaco e nel fegato, che poi rifluisce nel cuore e nel cervello, dove Galeno – medico greco i cui insegnamenti hanno dominato per secoli – sosteneva ci fosse una struttura, in realtà inesistente, che distillasse e fermentasse il sangue. È nel cervello, secondo la teoria del tempo, che il sangue si arricchisce dell’anima e che, dopo una sorta di raffinazione, si dirige verso i genitali per diventare sperma e permettere la generazione unendosi al sangue della donna”.

Sangue portatore di virtù o disgrazie

E in effetti il sangue scende negli organi genitali maschili “ancor digesto”, si legge nella Commedia, cioè ulteriormente purificato ma arricchito di qualità, “perché solo così l’intelletto e le virtù potevano passare alla generazione successiva”, sottolinea il ricercatore. “Ovviamente al tempo sapevano anche che il sangue, oltre che portatore di valori, poteva essere veicolo di malattie, concetto già presente nella Bibbia, ma non conoscevano meccanismi e logiche di trasmissione”. Ancora molto lontane, infatti, le nozioni di patrimonio genetico, “anche se – conclude Capocci – qualcuno sostiene che la teoria di Aristotele sul fatto che ogni cosa, compreso l’embrione, nascesse dall’unione di forma e sostanza, fosse un’antica intuizione di quella che oggi chiamiamo biologia molecolare”. Ma per quanto riguarda il nostro poeta, anche nel discorso più scientifico di Stazio, si avvalora ancora una volta l’importanza che per lui, e per tutta la popolazione medioevale, aveva il sangue come garanzia di appartenenza a un casato e, di riflesso, alle sue virtù e disgrazie. In qualche modo vincolante, nel bene o nel male.

 

In copertina
Ritratto di Dante Alighieri, Agnolo Bronzino,  1532 – 1533 circa, olio su tela, 130 x 136 cm.
Firenze, Galleria degli Uffizi

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