Sempre più ricerche dimostrano che per comprendere a fondo i meccanismi che determinano la leucemia mieloide acuta (LAM) e il successo delle terapie bisogna indagare il microambiente del midollo osseo. Un ruolo particolarmente importante all’interno del midollo osseo ce l’hanno le cellule stromali mesenchimali, un gruppo di cellule cosiddette “multipotenti” in grado di produrre diversi tipi di cellule dei tessuti del corpo.

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Uno studio pubblicato a gennaio 2020 sul British Journal of Haematology, guidato da Yajing Jiang dell’Accademia cinese delle scienze mediche, ha evidenziato come l’enzima aldo‐cheto reduttasi (AKR) nelle cellule stromali mesenchimali promuova la sopravvivenza delle cellule della leucemia mieloide acuta. Lo hanno commentato sulla stessa rivista Antonio Curti e Marilena Ciciarello del dipartimento di ematologia e oncologia dell’ospedale universitario Sant’Orsola-Malpighi di Bologna. “Gli attuali trattamenti per la leucemia mieloide acuta si concentrano principalmente sulle cellule leucemiche. Al Sant’Orsola da tempo studiamo il microambiente leucemico e l’influenza che questo ha nell’insorgenza della leucemia, nella sua progressione e nella possibile resistenza alle terapie”, ha spiegato Ciciarello a GIMEMA informazione.

“All’interno dell’ambiente del midollo osseo – continua la ricercatrice – in condizioni normali le cellule mesenchimali svolgono un’azione utile alla produzione di cellule del sangue (emopoiesi). Producono cioè le sostanze proteiche (i cosiddetti “fattori di crescita”) per le cellule del sangue che però la leucemia sfrutta a proprio vantaggio per nutrire le cellule leucemiche”.

Le cellule mesenchimali possono differenziarsi in tre tipologie di cellule: tessuto osseo, tessuto adiposo e tessuto cartilagineo. Uno dei meccanismi con cui le cellule leucemiche sfruttano questa caratteristica è legato all’enzima aldo‐cheto reduttasi, e in particolare al gene AKR1C1.

“Jiang e i suoi colleghi hanno riscontrato che nei pazienti leucemici il gene AKR1C1 è presente con livelli più alti nelle cellule mesenchimali”, commenta Ciciarello.

Attraverso una serie di meccanismi biochimici, questo gene influenza la formazione di cellule del tessuto adiposo (adipogenesi) a sfavore di quelle del tessuto osseo (osteogenesi). “Mentre l’osteogenesi ha un effetto positivo sulla produzione di cellule del sangue, l’adipogenesi no. Con una minore produzione di cellule del sangue, le cellule leucemiche hanno più posto da occupare e ne approfittano”, spiega la ricercatrice del Sant’Orsola.

Dallo studio di Jiang è emerso anche che il gene AKR1C1 influenza la produzione delle citochine, proteine di piccole dimensioni che svolgono un ruolo fondamentale nei meccanismi difensivi dell’organismo. Alti livelli di AKR1C1 producono più citochina interleuchina 6 (IL-6) che è un nutrimento per le cellule leucemiche.

L’enzima aldo-cheto reduttasi inoltre metabolizza i farmaci, li trasforma cioè per eliminarli.

“Una maggiore presenza di questo enzima potrebbe metabolizzare i farmaci usati per la leucemia e rendere così le terapie meno efficaci”.

Per questo, spiega Ciciarello, i pazienti che esprimono una maggiore quantità di AKR1C1 potrebbero essere più resistenti ai farmaci.

“La ricerca di Jiang – afferma Ciciarello – dimostra quanto è importante studiare il microambiente del midollo e le sue interazioni con le cellule leucemiche per elaborare strategie terapeutiche mirate, che colpiscano i meccanismi che favoriscono la leucemia. Un nuovo trattamento potrebbe per esempio prendere di mira proprio l’aldo-cheto reduttasi nei pazienti in cui si rileva ad alti livelli”.