Un recente studio retrospettivo, basato su quasi dieci anni di dati italiani raccolti su oltre quaranta pazienti pediatrici oncoematologici, ha dimostrato che l’uso dell’enzima glucarpidasi è una strategia efficace e sicura per gestire i casi di grave tossicità renale acuta legata alla somministrazione di metotrexate ad alte dosi.

Quando si parla di terapie oncologiche, uno degli aspetti più delicati da considerare sono gli effetti collaterali che possono causare i trattamenti stessi. Per esempio, in alcuni tumori pediatrici, l’organismo può fare fatica a metabolizzare ed eliminare il chemioterapico metotrexate, che è frequentemente somministrato ad alte dosi. Di conseguenza, l’accumulo del farmaco può causare un effetto collaterale piuttosto diffuso nei bambini e adolescenti in cura: il danno renale acuto, che secondo stime recenti può riguardare fino al 13% dei pazienti.

Per questo motivo, la ricerca biomedica sta esplorando strategie terapeutiche efficaci e tempestive, al fine di contrastare questa complicanza. In particolare, un recente studio pubblicato su EJC Paediatric Oncology ha valutato l’utilizzo della glucarpidasi, un enzima ricombinante impiegato come “terapia di salvataggio” nei casi in cui il metotrexate rimanga troppo a lungo nel corpo di chi riceve i trattamenti oncologici, con conseguente rischio di danni renali, anche gravi.

La ricerca ha esaminato in maniera retrospettiva i dati clinici raccolti tra il 2015 e il 2023 in 13 centri italiani, relativi a bambini e ragazzi con leucemia linfoblastica acuta o linfoma non-Hodgkin trattati con metotrexate ad alte dosi e successivamente con glucarpidasi. I risultati sono promettenti: la glucarpidasi si è dimostrata efficace e sicura nel ridurre il rischio di danni renali legati a questo tipo di chemioterapia.

Ne abbiamo parlato con Nicolò Peccatori e Carmelo Rizzari, rispettivamente primo e ultimo autore dello studio.

 

Che cos’è il metotrexate, che cos’è la glucarpidasi

Il metotrexate è un farmaco appartenente alla classe degli antimetaboliti, sostanze chimiche che interferiscono con il metabolismo delle cellule, soprattutto con la loro capacità di crescere e moltiplicarsi. Entrando un po’ più nel dettaglio, questa molecola è un analogo dell’acido folico, una vitamina essenziale per la produzione del DNA: una volta penetrato nelle cellule, il metotrexate blocca un enzima chiamato diidrofolato reduttasi, necessario per trasformare l’acido folico in una forma attiva che serve a sintetizzare nuove molecole di DNA e RNA. In questo modo, il farmaco impedisce alle cellule di dividersi e proliferare normalmente. Poiché agisce soprattutto durante la fase di sintesi del DNA, è particolarmente efficace contro le cellule che si moltiplicano rapidamente, come accade nei tumori.

In effetti, il metotrexate, somministrato ad alte dosi, è un farmaco essenziale nel trattamento dei tumori pediatrici, tra cui la leucemia linfoblastica acuta, il linfoma non-Hodgkin e l’osteosarcoma.

Nonostante la dimostrata efficacia, il metotrexate, può causare effetti collaterali importanti, soprattutto a carico dei reni, del midollo osseo e del fegato; in particolare, il danno renale acuto è una delle complicanze più rilevanti della chemioterapia con metotrexate. Quando il metotrexate non riesce ad essere adeguatamente eliminato, raggiunge livelli tossici e può provocare complicanze come mielosoppressione, infiammazioni delle mucose, danni al fegato e un ulteriore peggioramento della funzione renale. Per evitare questi problemi, i protocolli di cura includono misure preventive ben precise, come una buona idratazione, alcalinizzazione delle urine e la somministrazione di acido folinico. Nonostante ciò, il danno renale da metotrexate ad alte dosi rimane una complicanza da non sottovalutare, con un’incidenza che varia tra il 2% e il 13% nei pazienti trattati.

Uno dei candidati più promettenti per contrastare gli effetti tossici del metotrexate è la glucarpidasi, un enzima di origine batterica che agisce scomponendo il metotrexate in due molecole non tossiche, che a loro volta vengono smaltite dal fegato. In questo modo, è possibile abbassare rapidamente i livelli troppo alti del farmaco nel sangue e ridurre il rischio di danni ai reni.

Proprio per la sua efficacia, nel 2012 la Food and drug administration (FDA), l’ente regolatorio degli Stati Uniti, ha approvato la glucarpidasi per il trattamento dei casi di accumulo di metotrexate a causa di insufficienza renale; più recentemente, anche l’Agenzia europea per i medicinali (EMA) ha dato il via libera all’utilizzo di questo enzima per i pazienti che non riescono a eliminare correttamente il farmaco e che sono a rischio di tossicità.

Nonostante esistano raccomandazioni internazionali, tra cui le linee guida Europee recentemente pubblicate, che definiscono l’indicazione al farmaco, il suo uso è rimasto piuttosto limitato negli ultimi anni, a causa della sua difficile accessibilità e una certa confusione su quando e in quali pazienti debba essere utilizzato.

Proprio per questo, gli autori dello studio hanno scelto di analizzare un ampio numero di casi trattati con glucarpidasi, concentrandosi su pazienti pediatrici che avevano sviluppato un accumulo di metotrexate o un danno renale acuto dopo la chemioterapia. “Con questo studio abbiamo voluto tracciare lo stato dell’arte italiano nell’utilizzo della glucarpidasi come provvedimento terapeutico per tossicità acuta severa e potenzialmente fatale in bambini e adolescenti con tumori ematologici sottoposti a chemioterapia con alte dosi di metotrexate” raccontano a GIMEMA Informazione Nicolò Peccatori e Carmelo Rizzari.

 

Lo studio e le prospettive future

La ricerca ha analizzato i dati di 42 pazienti che avevano ricevuto glucarpidasi dopo la somministrazione endovena di metotrexate ad alte dosi. Nella maggior parte dei casi, la somministrazione di glucarpidasi si è resa necessaria durante il primo ciclo di trattamento con metotrexate.

“Questa raccolta di casi clinici, una delle più ampie mai pubblicate sull’uso della glucarpidasi in ambito pediatrico, conferma che il farmaco è efficace e sicuro nella gestione della tossicità renale acuta severa causata da alte dosi di metotrexate”, spiegano i ricercatori.

In effetti, dallo studio emerge che l’infusione di glucarpidasi ha permesso di ridurre rapidamente i livelli di metotrexate nel sangue, con un decremento medio del 72,5%. Per eliminare completamente il farmaco e i suoi metaboliti sono stati mediamente necessari poco meno di 9 giorni. Il recupero della funzione renale, misurato dal ritorno dei valori della creatinina a un livello pari o inferiore a 1,5 volte quello iniziale, è avvenuto in media in circa 18 giorni. Non solo. “Uno dei dati più significativi emersi da questo studio riguarda la possibilità di riutilizzare il metotrexate ad alte dosi anche nei pazienti che, in precedenza, avevano sviluppato un’insufficienza renale acuta e avevano quindi avuto bisogno di un trattamento d’emergenza con glucarpidasi”, aggiungono Peccatori e Rizzari.

Particolarmente degno di nota, infatti, è il fatto che più della metà dei pazienti (52%) è stata in grado di riprendere la terapia con metotrexate. Nessuno di loro ha sperimentato una nuova tossicità renale, e tutti hanno completato il numero previsto di cicli secondo il protocollo. Secondo gli autori dello studio, l’uso precoce della glucarpidasi (entro 60 ore dall’inizio del ciclo di chemioterapia) si è dimostrato particolarmente efficace nei casi di grave riduzione della capacità dell’organismo di eliminare il farmaco o di insufficienza renale acuta. “Questa strategia non solo aiuta a prevenire complicazioni gravi e potenzialmente fatali, ma rende anche possibile continuare la chemioterapia senza dover rinunciare a un farmaco fondamentale per la guarigione come il metotrexate ad alte dosi”.

Principale limite della ricerca, secondo Peccatori e Rizzari è legato al fatto che la decisione di somministrare la glucarpidasi è dipesa principalmente dalla scelta del singolo emato-oncologo pediatra, in assenza di indicazioni precise e condivise nei protocolli terapeutici adottati dai diversi centri: questo ha portato a una certa variabilità nell’utilizzo del farmaco.

“Anche se esistono linee guida internazionali autorevoli che indicano quali pazienti dovrebbero ricevere questa terapia, sarebbe auspicabile che nei futuri protocolli oncologici venga inserita una raccomandazione chiara e uniforme anche a livello nazionale”.

Tra gli obiettivi della ricerca futura, poi, ci raccontano gli autori, vi è quello di identificare con sempre maggiore precisione i pazienti più a rischio di sviluppare effetti collaterali gravi, sulla base di fattori predisponenti, e di mettere in campo strategie efficaci di prevenzione. Tuttavia, poter contare su un farmaco salvavita come la glucarpidasi in caso di necessità resta comunque un elemento di estrema importanza clinica”.

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L’articolo scientifico originale di Peccatori N, et al., Eight-year national multicenter experience on the use of glucarpidase as effective rescue therapy for delayed methotrexate elimination after high-dose methotrexate cycles administered in children with hemato-oncological diseases, è disponibile al link: https://doi.org/10.1016/j.ejcped.2024.100202

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