Un nuovo studio real life del gruppo Campus ALL ha valutato gli esiti del trapianto allogenico nei pazienti adulti con leucemia linfoblastica acuta Philadelphia-negativa (ad alto rischio) trattati con il protocollo GIMEMA LAL1913. I risultati mostrano che il trapianto è più efficace se effettuato in prima remissione e con MRD negativa

Non basta scegliere se fare un trapianto di midollo osseo per curare la leucemia linfoblastica acuta (ALL, dall’acronimo inglese Acute Lymphoblastic Leukemia): è fondamentale decidere quando farlo e in quali condizioni. Le indicazioni in questo senso emergono da un recente studio pubblicato su Bone Marrow Transplantation, nel quale il gruppo di studio Campus ALL, la rete di lavoro sulla leucemia linfoblastica acuta, ha analizzato 203 pazienti adulti trattati con il protocollo GIMEMA LAL1913 che hanno poi ricevuto un trapianto allogenico di cellule staminali ematopoietiche (alloHSCT, acronimo dall’inglese Allogeneic Hematopoietic Stem Cell Transplantation), per valutare gli esiti clinici reali di questa strategia terapeutica

Ne abbiamo parlato con Gianluca Cavallaro, ematologo presso ASST Ospedale Papa Giovanni XXIII (Bergamo) e primo autore dello studio.

 

Uno studio real life per valutare gli esiti del trapianto

Il protocollo GIMEMA LAL1913 è un programma terapeutico sviluppato in Italia per adulti con leucemia linfoblastica acuta Philadelphia-negativa, ispirato alle terapie pediatriche. I risultati del trial clinico di fase II, pubblicati nel 2023, sono stati molto positivi, con oltre il 90% dei pazienti trattati che ha raggiunto la remissione completa dalla malattia. E si sono confermati all’inizio di quest’anno, quando il gruppo di studio Campus ALL ha analizzato in oltre 400 pazienti i dati real life, cioè raccolti dalla pratica clinica quotidiana – un tipo di studio fondamentale per mostrare come funzionano davvero le terapie una volta che escono dalle condizioni sperimentali, evidenziando benefici, limiti, e aspetti difficilmente valutabili nei soli trial.

“Il nuovo lavoro è una sotto-analisi di quest’ultimo studio: volevamo capire i risultati per i pazienti che, dopo il protocollo GIMEMA LAL1913, avevano poi ricevuto il trapianto allogenico di cellule staminali ematopoietiche”, spiega Cavallaro.

“Soprattutto, volevamo fare una valutazione su persone trattate in modo omogeneo, per le quali la stratificazione della classe di rischio della malattia è definita alla diagnosi e il monitoraggio della malattia minima residua è riportato in modo standardizzato. Questo ci ha consentito di scattare una sorta di fotografia dello stato dell’arte per gli esiti del trapianto a livello nazionale”.

 

Trapianto: quando farlo, e in quali pazienti

I dati raccolti dal gruppo di studio riguardano 203 pazienti, trattati in ospedali italiani tra il 2016 e il 2023; la metà circa aveva una leucemia linfoblastica acuta a cellule T (T-ALL), l’altra metà a cellule B (B-ALL).

Due, in particolare, sono gli elementi che spiccano per il loro ruolo nella prognosi: la malattia minima residua, MRD (dall’acronimo inglese Minimal Residual Disease), il parametro che indica la presenza residua di cellule tumorali nell’organismo dopo il trattamento e prima del trapianto; l’essere in prima o seconda remissione (si parla di seconda remissione completa quando dopo la prima linea di terapia si presenta una recidiva ed è dunque necessario un ulteriore trattamento per indurre una nuova remissione).

I risultati del trapianto sono infatti stati significativamente migliori per le persone MRD-negative. La sopravvivenza globale a tre anni è risultata dell’80% (a fronte del 47% circa nei pazienti MRD-positivi) e la sopravvivenza libera da malattia del 70% (rispetto al 41% dei pazienti MRD-positivi).
Nello stesso modo, i risultati sono risultati migliori per le persone in prima remissione completa, tanto più se MRD-negative; anche per le persone oltre i 55 anni di età, le percentuali di sopravvivenza sono simili, seppur con un leggero aumento della mortalità non legata a recidiva.

In estrema sintesi: nelle forme ad alto rischio, il trapianto funziona meglio se fatto precocemente e con la malattia sotto controllo.

“Questo studio è una chiara indicazione di percorso terapeutico per la leucemia linfoblastica acuta Ph-. E la partenza è un’accurata valutazione fin dalla diagnosi, per identificare le persone ad alto rischio”, conclude Cavallaro. “In questo contesto, è importante sottolineare che l’immunoterapia (con l’utilizzo di blinatumomab) è risultata efficace nell’eliminare la malattia minima residua per molti pazienti: dato il peso che ha per la prognosi, il trattamento immunoterapico va assolutamente raccomandato in caso di positività”.

 

L’articolo originale di Cavallaro G, et al. “Outcomes of allogeneic stem cell transplant in adult Philadelphia negative acute lymphoblastic leukemia patients treated with the pediatric-inspired GIMEMA 1913 protocol. A Campus ALL study”, pubblicato su Bone Marrow Transplantation è disponibile al seguente link: https://www.nature.com/articles/s41409-025-02632-z