Il protocollo terapeutico che combina la chemioterapia e il farmaco pegaspargasi ha migliorato la sopravvivenza dei pazienti adulti affetti da leucemia linfoblastica (LAL) Philadelphia negativo. I risultati dello studio GIMEMA LAL1913 sono stati recentemente pubblicati sulla rivista Blood Advances.

“La terapia standard per la leucemia linfoblastica acuta è una chemioterapia intensiva che prevede la somministrazione di 4 o più farmaci in cicli ripetuti”, spiega Renato Bassan, ematologo e ricercatore presso la UOC di Ematologia dell’Ospedale dell’Angelo di Mestre-Venezia.

“Nello studio GIMEMA LAL1913 è stato testato un protocollo terapeutico chemioterapico basato su quello utilizzato efficacemente nei pazienti pediatrici al quale è stato aggiunto il pegaspargasi”.

Il pegaspargasi è la forma PEGhilata del farmaco asparaginasi, un enzima che degrada l’amminoacido asparagina impedendo alle cellule leucemiche di proliferare. La PEGhilazione è una modificazione biochimica che rende il farmaco più stabile e attivo nel tempo.

Nello studio clinico di fase II GIMEMA LAL1913 sono stati arruolati 203 pazienti di età compresa tra i 18 e i 65 anni con una nuova diagnosi di leucemia linfoblastica acuta con cromosoma Philadelphia negativo in 51 centri ematologici italiani. I risultati preliminari erano stati presentati durante il congresso dell’European Hematology Association (EHA) del 2022.

Il protocollo terapeutico dello studio prevede la successione di otto cicli chemioterapici con l’aggiunta di pegaspargasi con dosaggio di 2000 IU/m² al primo, secondo, quinto e sesto ciclo. Ai pazienti con età superiore ai 55 anni è stata invece somministrata una dose minore di pegaspargasi e chemioterapia meno intensiva per ridurre il rischio di tossicità.

Oltre allo schema terapeutico, l’altro aspetto innovativo di questo protocollo risiede nella classificazione del rischio. Per stabilire quali pazienti sono a rischio più alto e quindi candidarli a ricevere il trapianto allogenico, sono state prese in considerazione sia le caratteristiche clinico-biologiche della malattia che il livello di malattia residua dopo terapia, chiamata Minimal Residual Disease (MRD).

Infatti, nello studio GIMEMA LAL1913, sono stati destinati al trapianto anche pazienti con MRD non nota ma con caratteristiche cliniche che comportano un rischio molto elevato (VHR — Very High Risk).

Dei 203 pazienti partecipanti allo studio LAL1913 il 91% (185) ha raggiunto la remissione completa della malattia. La sopravvivenza globale a 3 anni è stata del 66,7%, la sopravvivenza libera da eventi del 57,7% mentre quella libera da malattia del 63,3%, percentuale, quest’ultima, di molto superiore a quella fissata come obiettivo primario dello studio.

“Per quanto riguarda la tossicità, il nostro approccio con la terapia di supporto e di preparazione alla somministrazione di pegaspargasi ci ha permesso di ottenere dei risultati migliori rispetto ad altri studi condotti sull’adulto”, spiega Bassan.

Gli eventi avversi più importanti e gravi si sono visti durante la somministrazione del farmaco nel primo ciclo di trattamento e sono stati causa di due decessi. Nei cicli successivi, invece, gli eventi avversi sono stati rari e meno gravi.

Il protocollo terapeutico impiegato in questo studio ha dato quindi buoni risultati in termini di sopravvivenza e tossicità. È però da considerare che è stato disegnato nel 2013 quando l’immunoterapia non era ancora indicata per il trattamento della leucemia linfoblastica acuta. Attualmente i farmaci immunoterapici potrebbero portare ulteriori benefici soprattutto per i pazienti ad alto rischio di recidiva e poco tolleranti alla chemioterapia intensiva.

Questi aspetti saranno presi in esame con l’analisi del protocollo GIMEMA LAL2317 nel quale è stato impiegato l’anticorpo bispecifico blinatumomab in aggiunta alla chemioterapia.