Un recente studio GIMEMA ha esplorato la potenzialità della digital droplet PCR per quantificare i livelli di malattia minima residua nei pazienti con leucemia linfoblastica acuta Philadelphia negativa (LLA Ph-). L’impiego di questa tecnica potrebbe migliorare la loro valutazione clinica in modo significativo.

I ricercatori GIMEMA hanno valutato una nuova tecnica molecolare chiamata digital droplet PCR (la cui traduzione letterale è PCR digitale a goccia e che, come suggerisce il nome, impiega gocce di emulsione acqua-olio) per quantificare i livelli di malattia minima residua in persone adulte con leucemia linfoblastica acuta Philadelphia negativa (LLA Ph-).

Rispetto alla tecnica tradizionale standard, il metodo testato non solo sarebbe più accurato per quantificare la malattia minima residua nei pazienti, ma potrebbe migliorare in modo significativo la valutazione clinica della malattia. I risultati sono stati pubblicati sulla rivista Journal of Molecular Diagnostics.

La LLA Ph- rappresenta più del 70% di tutti i casi di leucemia linfoblastica acuta negli adulti e, sebbene si siano compiuti molti passi avanti da un punto di vista terapeutico, circa il 50% delle persone con questa malattia va incontro a ricadute. Come individuarle per tempo e migliorare la prognosi dei pazienti? Attualmente il metodo standard è la quantificazione della malattia minima residua attraverso la PCR quantitativa in tempo reale. Questa è una tecnologia in grado di rilevare la quantità di una certa porzione di DNA, quantificandola attraverso specifiche reazioni chimiche. In particolare, per quanto riguarda la LLA Ph-, la PCR quantitativa individua e quantifica i riarrangiamenti nel DNA dei linfociti tipici della LLA Ph-, stimando così la malattia minima residua. Eppure, questa tecnologia presenta alcuni limiti come la scarsa capacità di rilevare livelli bassi di malattia residua e la necessità, per ottenere un risultato attendibile, di correlare il dato della malattia residua ai campioni prelevati da ciascun paziente durante analisi eseguite nel corso del tempo.

Per questi motivi, da tempo i ricercatori cercano di implementare altre strategie per la quantificazione della malattia minima residua, tra cui la digital droplet PCR: questa tecnologia è un’evoluzione della PCR quantitativa, che utilizza lo stesso principio, ma differisce per il fatto di utilizzare una singola emulsione di acqua-olio (la quale a sua volta forma moltissime goccioline al cui interno avvengono le reazioni chimiche) al posto delle numerose provette o pozzetti previste normalmente dalla PCR quantitativa.

Questa tecnica è più veloce, non necessita di campioni diagnostici per il monitoraggio del paziente e soprattutto mostra una maggiore accuratezza soprattutto nei casi in cui la tecnologia tradizionale fa più fatica a rilevare il DNA di interesse.

Pertanto, i ricercatori GIMEMA hanno voluto indagare se la digital droplet PCR potesse essere impiegata anche nella LLA Ph-. “La digital droplet PCR è sul mercato da molto tempo, è stata ed è tuttora utilizzata per altre malattie”, afferma Irene Della Starza, prima autrice dello studio, “Questo studio compara questa tecnologia con la PCR quantitativa in pazienti con LLA”. Obiettivo dello studio, infatti, è stato valutare se l’impiego della nuova tecnica potesse migliorare la quantificazione dei livelli di malattia e, di conseguenza, migliorare la stratificazione del rischio dei pazienti.

In particolare, i ricercatori hanno quantificato la malattia residua di 116 campioni di adulti con LLA Ph- con le due diverse tecniche, trovando che la digital droplet PCR è più accurata nell’individuare i casi in cui i livelli di malattia residua sono molto bassi. Questo significa una maggior capacità di raffinare la stratificazione del rischio basata sui livelli di malattia minima nei pazienti con LLA Ph- e quindi di predire le ricadute.

Adesso quali sono i passi successivi? “Una volta stabilita la maggior accuratezza analitica, occorre dimostrare la validità clinica di questo metodo, in modo da capire quanto può essere utile per la gestione dei pazienti”, spiega Della Starza. “Si è creato un gruppo di lavoro europeo che sta analizzando tutte le potenzialità di questa tecnica, al fine di redigere delle linee guida internazionali che poi consentano di confrontare i dati della malattia minima residua in diversi protocolli clinici”. Solo allora si potrà valutare se sostituire la tecnologia standard con quella nuova.