Uno studio italiano mostra che il trattamento con blinatumomab prima del trapianto riduce le recidive e migliora la sopravvivenza nei bambini e giovani adulti con leucemia linfoblastica acuta a cellule B (B-ALL)

Negli ultimi anni, l’immunoterapia ha rivoluzionato il trattamento della leucemia linfoblastica acuta a cellule B (B-ALL dall’acronimo inglese B-cell Acute Lymphoblastic Leukemia), soprattutto per pazienti in età pediatrica, per i quali la B-ALL è uno dei tumori più frequenti, e nei giovani adulti con malattia ad alto rischio o con malattia recidivante.

Tra le molecole protagoniste di questa trasformazione, il blinatumomab – un anticorpo bispecifico che indirizza le cellule linfatiche T contro le cellule leucemiche CD19-positive ­– si è distinto per efficacia e tollerabilità.

Ma quale impatto ha questa terapia se utilizzata come trattamento che precede il trapianto di cellule staminali ematopoietiche?

A rispondere è uno studio retrospettivo italiano, recentemente pubblicato su Haematologica: ne parliamo con Mattia Algeri, onco-ematologo pediatra all’Ospedale Bambin Gesù di Roma e tra gli autori della ricerca.

 

Il consolidamento pre-trapianto con blinatumomab

“Abbiamo analizzato i dati relativi a 78 pazienti fino ai 25 anni di età trattati presso l’Ospedale Bambin Gesù tra il 2016 e il 2023 ai quali, prima del trapianto, sono stati somministrati uno o due cicli di blinatumomab; in un terzo dei casi, il farmaco è stato somministrato in soggetti che avevano precedentemente ricevuto l’inotuzumab”, spiega Algeri.

Il blinatumomab, come accennato, è un anticorpo bispecifico, cioè lega contemporaneamente due diversi bersagli: CD19, una proteina presente sulla superficie delle cellule B (comprese quelle leucemiche nella B-ALL), e CD3, una proteina presente sulle cellule T del sistema immunitario; in questo modo consente l’attacco del sistema immunitario contro le cellule tumorali. Inotuzumab è anch’esso un anticorpo, ma coniugato: unisce, cioè, un anticorpo diretto contro il CD22 (una proteina espressa sulla superficie delle cellule B) a un potente agente citotossico, che viene rilasciato all’interno della cellula bersaglio per distruggerla.

Dai dati raccolti nel tempo, il gruppo di ricerca ha valutato una serie di parametri, quali la sopravvivenza globale, la sopravvivenza libera da malattia, l’incidenza cumulativa di recidiva e la mortalità non dovuta a recidiva, a due anni.

 

Risultati eccellenti

I risultati sono stati estremamente positivi. La sopravvivenza globale a due anni è risultata quasi del 90%, mentre quella libera da malattia (cioè senza recidiva) di oltre il 70%.

“L’andamento è stato particolarmente eccellente per i pazienti in prima remissione completa (in breve, le persone che non avevano avuto recidive dopo il trattamento iniziale), nei quali non sono state osservate recidive post-trapianto, ma è risultato molto positivo anche per i pazienti in seconda remissione (cioè coloro che avevano avuto una recidiva e sono andati in remissione solo dopo un nuovo trattamento)”, continua Algeri. Quest’ultimo dato è particolarmente importante, perché, nelle B-ALL, le recidive rappresentano la prima indicazione al trapianto di cellule staminali emopoietiche.

Inoltre, la mortalità non causata da recidiva è risultata dal 2,6%, con due pazienti deceduti per complicanze legate al trapianto. L’incidenza cumulativa di recidiva è risultata del 25%, ma tutti i casi erano CD19 positivi e, pertanto, ancora suscettibili ad ulteriore trattamento con terapie mirate come le CAR-T.

Infine, la combinazione sequenziale con inotuzumab è risultata particolarmente valida, perché ha portato a un minor numero di recidive, a suggerire che l’efficacia già elevata del blinatumomab possa essere ulteriormente rafforzata dalla combinazione con il secondo anticorpo avente per bersaglio il CD22.

“Il nostro lavoro evidenzia come i benefici del trattamento con blinatumomab rispetto alla chemioterapia usata tradizionalmente si protraggano anche nel periodo post-trapianto, come dimostrato dalla bassa incidenza di ricaduta e di complicanze tossiche, tra cui in particolare l’assenza di malattia veno-occlusiva epatica”, conclude Algeri. “Globalmente, questi risultati indicano che il blinatumomab possa rappresentare non solo un’arma potente per l’ottenimento di una remissione completa con negativizzazione della malattia residua minima, ma anche un alleato prezioso per migliorare gli esiti della procedura trapiantologica”.

 

È possibile leggere lo studio Outcomes of children and young adults with B-cell acute lymphoblastic leukemia given blinatumomab as last consolidation treatment before allogeneic hematopoietic stem cell transplantation – Algeri M, et al. al seguente link https://haematologica.org/article/view/haematol.2024.286350