Lo studio non interventistico OITI ha confermato l’efficacia di ponatinib e un buon profilo di sicurezza nei pazienti trattati.

Il ponatinib è un inibitore delle tirosin chinasi (TKI) di terza generazione utilizzato con successo già da diversi anni per il trattamento della leucemia mieloide cronica (CML) in fase cronica, accelerata o blastica in pazienti resistenti o intolleranti a dasatinib o nilotinib, e per i quali il successivo trattamento con imatinib non è clinicamente appropriato, oppure nei quali è stata identificata la mutazione T315I. Il farmaco è stato approvato dalla European medicines agency (Ema) nel 2013 e viene rimborsato in Italia dal 2015. Uno studio non interventistico (OITI), i cui risultati sono stati presentati durante l’ultimo congresso della European Hematology Association (EHA), ha confermato la sua efficacia nel trattamento della CML grazie anche a un profilo di sicurezza gestibile nel lungo periodo.

L’obiettivo dello studio è stato valutare gli schemi di trattamento con ponatinib e i risultati, in termini di sicurezza ed efficacia, nei pazienti con CML trattati a partire dalla sua introduzione in Italia nella pratica clinica.

In particolare, è stata valutata la risposta citogenetica completa (CCyR, Complete Cytogenetic Response) nei pazienti con malattia in fase cronica dopo 6 mesi dall’inizio del trattamento con ponatinib. Questo parametro rappresenta il gold standard nella valutazione della risposta alla terapia per i pazienti con leucemia mieloide cronica, perché è associata a un beneficio in termini di sopravvivenza.

La risposta citogenetica completa si ottiene quando non si evidenzia più la presenza del cromosoma di Philadelphia (Ph), alterazione delle cellule responsabili della leucemia mieloide cronica.

Lo studio ha coinvolto 26 centri italiani e sono stati inclusi nello studio i pazienti con almeno 18 anni di età in trattamento con ponatinib. In totale sono stati analizzati 120 pazienti, di cui 111 con leucemia mieloide cronica in fase cronica, sei in fase accelerata e tre in fase blastica. Dei pazienti inclusi nell’analisi, il 50% è stato trattato con ponatinib in seconda linea, il 35% in terza linea e il 15% come quarto trattamento o successivo. Prima di iniziare il trattamento con ponatinib 63 pazienti (52,5%) avevano ricevuto l’inibitore TKI dasatinib, 39 pazienti (32,5%) il nilotinib, 9 pazienti (7,5%) il bosutinib, 8 pazienti (6,7%) l’imatinib ed infine  un paziente (0,8%) asciminib.

Dei 109 pazienti in fase cronica, all’inizio dello studio, 55 (il 50%) avevano una risposta citogenetica completa o superiore, mentre 54 non avevano una risposta citogenetica completa. Dopo 6 mesi di trattamento, 82 (il 75,2%) erano in CCyR. Dei 54 pazienti che al basale mostravano risposta inferiore alla CCyR, 52 avevano migliorato la risposta rispetto al basale. A livello molecolare, 59 dei 109 pazienti (il 54%) ha ottenuto almeno una risposta molecolare maggiore (MMR).

Per quanto riguarda la sicurezza del trattamento, 64 pazienti su 120 totali (pari al 53%) hanno avuto almeno un evento avverso correlato all’uso del ponatinib. Quelli più comuni sono stati l’ipertensione (8,3%), l’aumento della lipasi (5,0%) e la trombocitopenia (5,8%). Sono state necessarie modifiche della dose iniziale in 29 pazienti a causa della comparsa di eventi avversi, che sono anche stati motivo di sospensione del trattamento per altri 19 pazienti. Complessivamente però, non sono emersi nuovi effetti collaterali inattesi nel lungo periodo, confermando il buon profilo di sicurezza del trattamento.

In conclusione, l’analisi dei dati provenienti dalla somministrazione del ponatinib nella pratica clinica ne hanno confermato l’efficacia e la facilità nella gestione della tossicità, che sembrerebbero dipendere anche dall’ottimizzazione dell’uso e della dose somministrata.