Il regime V-FLAI ottiene risultati migliori per remissione completa e riduzione della malattia minima residua. Risultati promettenti emergono dallo studio GIMEMA AML1718, aprendo nuove prospettive terapeutiche per i pazienti affetti da questa forma di leucemia.

L’utilizzo del medicinale venetoclax potrebbe spianare la strada a nuovi regimi di combinazione per il trattamento della leucemia mieloide acuta: è quanto emerge da uno studio GIMEMA presentato all’ultimo congresso dell’Associazione Europea di Ematologia (EHA). In particolare, sono stati mostrati i risultati derivanti da un’analisi di comparazione – effettuata nell’ambito dello studio GIMEMA AML1718 –  secondo cui l’aggiunta del venetoclax alla chemioterapia intensiva ottiene risultati migliori rispetto a altri regimi basati sulla sola chemioterapia per quel che riguarda remissione completa e riduzione della malattia minima residua nei pazienti con leucemia mieloide acuta (AML) di nuova diagnosi a rischio intermedio/alto. Risultati di questo tipo, da confermare ulteriormente con follow-up più lunghi, potrebbero aprire nuove prospettive per il trattamento della leucemia mieloide acuta.

Il venetoclax è un medicinale innovativo che ha come obiettivo Bcl-2, la proteina responsabile di regolare la cosiddetta apoptosi, il processo fisiologico di “morte programmata” che avviene normalmente in tutte le cellule e che invece in quelle tumorali risulta bloccato, riducendo l’efficacia della chemioterapia.

Agendo su Bcl-2, quindi, il venetoclax ripristinerebbe il normale processo di morte programmata, migliorando notevolmente l’efficacia del trattamento chemioterapico. Per questo motivo, come già raccontato lo scorso dicembre in occasione del congresso della Società americana di ematologia (ASH 2022), questo medicinale rappresenta una delle principali strategie di trattamento della leucemia mieloide acuta che GIMEMA, con i suoi studi clinici, sta attualmente esplorando.

In effetti, lo studio AML1718, ancora in corso, ha come obiettivo quello di valutare l’efficacia della somministrazione di  venetoclax in combinazione con chemioterapia intensiva con fludarabina, citarabina e idarubicina (regime V-FLAI) in pazienti con leucemia mieloide acuta a rischio intermedio/alto.

Per valutare l’effettivo vantaggio apportato dalla somministrazione medicinale, i ricercatori hanno confrontato i risultati intermedi di AML1718 con quelli ottenuti da due altre strategie terapeutiche: la prima è quella dello studio GIMEMA AML1310, concluso nel 2015, che prevede chemioterapia intensiva con schema di tipo 3+7  (3 giorni di daunorubicina + 7 giorni di citarabina) e scelta del trapianto (allogenico o autologo) sulla base della categoria di rischio del paziente e i livelli di malattia minima residua; la seconda è quella dell’esperienza real-life condotta in un singolo centro di 104 pazienti con leucemia mieloide acuta trattati con chemioterapia intensiva (FLAI).

Per garantire un confronto affidabile tra i diversi gruppi di pazienti, è stata utilizzata un’analisi che tenesse in considerazione il propensity score, uno strumento statistico che serve ad appaiare coorti di pazienti riducendo l’effetto di possibili fattori confondenti come l’età, il sesso e la classificazione del rischio, in modo da ottenere risultati confrontabili tra loro.

La comparazione ha dimostrato, per quanto riguarda la malattia minima residua, che la combinazione di venetoclax con la chemioterapia nei pazienti con AML di nuova diagnosi ha ottenuto risultati superiori rispetto alle altre strategie terapeutiche considerate. In termini di remissione completa, la terapia basata su venetoclax è risultata preferibile solo allo schema 3+7.

Nonostante gli autori dello studio abbiano sottolineato la necessità di un follow-up più lungo dello studio AML1718, il più recente, per confermare i risultati sugli esiti di sopravvivenza, questi dati suggeriscono che il venetoclax potrebbe rappresentare un’opzione terapeutica preziosa per i pazienti affetti da leucemia mieloide acuta di nuova diagnosi a rischio intermedio/alto: in combinazione con la chemioterapia, infatti, il medicinale potrebbe diventare un importante pilastro terapeutico per i pazienti affetti da questa forma di leucemia.