I pazienti affetti da leucemia linfatica cronica (LLC) con epatite B occulta (OBI), trattati con ibrutinib, per evitare la riattivazione del virus dell’epatite B (HBV) possono fare a meno della profilassi con lamivudina, seguendo un attento follow up. I risultati di uno studio multicentrico GIMEMA.

“Questo è un lavoro molto importante, chiunque dovrà fare studi sull’epatite B occulta (OBI) dovrà sicuramente utilizzare i nostri dati come punto di partenza”, afferma Luca Laurenti, docente di Ematologia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore e coautore dello studio pubblicato su Haematologica.

Risultati, quelli ottenuti dai ricercatori GIMEMA, che potrebbero razionalizzare in maniera logica l’utilizzo delle risorse nelle terapie per i pazienti con OBI: ma che malattia è nello specifico?

L’epatite B è un’infezione epatica potenzialmente mortale in grado di evolvere verso una malattia cronica che mette le persone affette ad alto rischio di cirrosi ed epatocarcinoma. Il virus dell’epatite B (HBV) nelle aree ad alta endemia è più comunemente trasmesso da madre a figlio (trasmissione perinatale) o con l’esposizione a sangue infetto o di essudati sierosi come saliva, fluidi vaginali o liquido spermatico. Se la malattia diventa cronica si possono osservare diverse fasi di cui, l’ultima, è chiamata “infezione occulta da HBV”. Generalmente l’HBV è rilevabile osservando la presenza e i livelli di HBeAg e HBV-DNA, ovvero indicatori di replicazione virale, infettività del virus e trasmissibilità dell’infezione.

Durante la fase occulta, il paziente risulta negativo e deve essere tenuto sotto osservazione per notare il prima possibile una ritorno alla positività.

Il trattamento standard della malattia richiede la somministrazione di diversi farmaci, tra cui la lamivudina. Questo è un farmaco antivirale estremamente efficace che blocca la sintesi del DNA del virus. Il farmaco, però, ha un limite importante: può suscitare la comparsa di mutanti virali, ovvero virus che resistono al farmaco e che possono determinare un nuovo peggioramento della malattia.

Dai risultati GIMEMA emerge che i pazienti con leucemia linfatica cronica (LLC) e epatite B occulta (OBI) che non hanno fatto chemio-immunoterapia negli ultimi 18 mesi e stanno assumendo ibrutinib (senza altri farmaci immunosoppressivi come rituximab, altri anticorpi monoclonali o cortisone), possono fare a meno della profilassi con lamivudina seguendo un attento follow up. L’ibrutinib è una piccola molecola che inibisce la proliferazione e la sopravvivenza delle cellule B, spesso utilizzato per il trattamento dei tumori delle cellule B.

GIMEMA Informazione ha intervistato Luca Laurenti per comprendere l’importanza di tale ricerca.

Com’è nato lo studio?

“Proposi questo studio circa quattro anni fa. I tempi di realizzazione sono sempre lunghi, fra la stesura del protocollo, creazione di un database, confronto con i comitati etici di circa 30 centri, analisi dei dati e scrittura dell’articolo scientifico. La prima volta che lanciai l’idea fu durante un working party GIMEMA e riguardava un argomento critico. Io tendevo a non applicare la profilassi ai pazienti con OBI e mi rendevo conto che questi non riattivavano la malattia. Siccome non c’era in letteratura nulla a riguardo ho pensato: servirà veramente la profilassi?

Le linee guida dicono che questa serve per la chemio-immunoterapia e la terapia steroidea, in particolare per la CLL, ma nessuno ha mai specificato la necessità della profilassi con lamivudina in pazienti LLC con OBI durante terapia continuativa con’ibrutinib o venetoclax, a meno che non vengano associate ad anticorpi monoclonali”.

Quali sono i rischi legati alla somministrazione dell’antivirale?

“Nei pazienti con malattie al fegato il farmaco viene ridotto di dosaggio e il metodo di somministrazione cambia da compresse a sciroppo. Tuttavia, un paziente con LLC è in genere un paziente anziano con comorbidità e quindi assume diverse medicine al giorno, per cui un’ulteriore aggiunta terapeutica deve essere fatta soltanto se strettamente necessaria”.

Perché i centri si siano adattati a somministrare questa profilassi?

“La maggior parte dei centri fa la profilassi per non doversi preoccupare di fare un attento follow up in cerca di una possibile riattivazione. La nostra esperienza è stata condotta su 108 pazienti con epatite B occulta e leucemia linfatica cronica. La maggior parte dei centri in Italia applicava una profilassi con lamivudina. Abbiamo osservato una riattivazione del virus in due casi, in entrambi i gruppi di studio: un caso nel gruppo in cui non si faceva la profilassi e uno nel gruppo con profilassi. Circa due terzi dei pazienti OBI/LLC che assumeva ibrutinib e lamivudina. Il rimanente terzo faceva un’attenta osservazione con valutazione della sierologia del virus epatitico B, senza assumere lamivudina”.

Dunque, cosa suggerite di fare?

“Statisticamente utilizzare o no la profilassi ha lo stesso effetto. Dunque, invece di medicare un paziente con un farmaco che non garantisce la negatività e a fronte della spesa per le terapie, tanto vale procedere direttamente tenendolo sotto osservazione, visto che, comunque, data la possibilità di riattivazione anche con profilassi, il follow up bisognerebbe farlo ugualmente.

I due pazienti osservati nello studio, che hanno riattivato il virus hanno avuto una rapida normalizzazione delle transaminasi e della sierologia dell’HBV, senza necessità di sospendere la terapia con ibrutinib, grazie al trattamento con entecavir (un antivirale capace di interagire con il DNA per inibire la trascrittasi inversa di un virus, trattamento standard per l’HBV)”.

Qual è il possibile futuro per questa ricerca?

“Ho intenzione di verificare altre due cose. Innanzitutto, vorrei fare lo stesso studio nei pazienti in terapia continuativa con venetoclax. Successivamente, vorrei testare anche le molecole anti-BTK e anti-PI3K di nuova generazione. Queste sono chinasi, enzimi coinvolti in numerosi processi cellulari, la cui inibizione potrebbe rallentare la progressione della malattia”.