L’amiloidosi AL è una delle malattie ematologiche più rare. Concettualmente simile al mieloma multiplo, in realtà presenta un meccanismo di azione diverso, per certi versi peggiore, e un numero di pazienti decisamente inferiore. Queste caratteristiche rendono molto difficile studiare nuove terapie e, non a caso, gran parte di quelle utilizzate derivano dalle ricerche dei farmaci per il mieloma.

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Nonostante queste difficoltà, recentemente è stato pubblicato un lavoro molto importante che definisce la nuova terapia standard per questa malattia che prevede l’utilizzo di tre farmaci: bortezomib, melfalan e desametasone.
A coordinare il lavoro c’è un medico che negli ultimi 10 anni ha fatto del suo centro di riferimento a Pavia, il Policlinico San Matteo, il fulcro di una rete internazionale di collaboratori dedicati alla lotta alla amiloidosi. Giovanni Palladini, classe 1973, ha saputo distinguersi nella carriera dedicandosi con dedizione a una malattia così rara.

L’amiloidosi è caratterizzata dall’accumulo extracellulare di materiale insolubile, definito sostanza amiloide, che depositandosi in organi e tessuti li danneggia nel tempo. Nella forma di tipo AL si accumulano alcuni frammenti degli anticorpi, le catene leggere, prodotte dalle plasmacellule, cellule specializzate presenti nel midollo osseo.

Raggiungo Palladini virtualmente nel suo studio di Pavia e mi colpiscono i modi gentili che caratterizzano questa persona con cui abbiamo parlato dei risultati appena raggiunti e dei progetti futuri.  

Il nuovo standard di cura per l'amiloidosi AL – Giovanni Palladini – Fondazione GIMEMA

Giovanni Palladini
Policlinico San Matteo – Pavia

Il lavoro da poco pubblicato raccoglie i risultati di una ricerca che ha richiesto un periodo di studio molto lungo: “Dieci anni fa nacque l’idea di utilizzare il bortezomib, aggiungendolo alla terapia standard dell’epoca che prevedeva il desametasone e il melfalan. Da allora siamo riusciti ad arruolare 100 pazienti, 50 per ogni gruppo di randomizzazione, e abbiamo ottenuto una risposta ematologica completa nell’81% dei pazienti del braccio sperimentale”. Quello che già appare come un evidente successo in realtà nasconde un altro aspetto che rende il risultato ancora migliore:

“Per la prima volta nella storia di questa malattia siamo riusciti a dimostrare un aumento della sopravvivenza, nessun altro studio era riuscito a farlo”. 

Il motivo di questa difficoltà risiede in gran parte nella rarità della malattia e nella difficoltà di mettere a punto studi clinici con tempistiche adeguate. Tutte cose che Palladini e i colleghi dei 17 centri partecipanti, in Europa e Australia, hanno risolto attraverso un duro lavoro di collaborazione: “Abbiamo vinto contro ogni pronostico, da soli con tanto impegno da parte di tutti. Abbiamo iniziato organizzando tutto da soli, poi siamo entrati sotto l’ala dello European Myeloma Network. Infine la ditta produttrice del bortezomib ci ha fornito gratuitamente il farmaco e un finanziamento minimo iniziale per far partire lo studio.

Sono fiero di dire che è stato uno studio completamente indipendente, organizzato interamente dai ricercatori”. 

Uno studio che ha visto anche grandi assenze perché “alcuni ricercatori non credevano che uno studio così, senza uno sponsor, potesse avere una seria prospettiva di sviluppo. Gli Stati Uniti, ad esempio, non hanno partecipato”. Ma l’indipendenza operativa potrebbe essere stata anche la chiave del successo perché, continua Palladini, “abbiamo potuto scegliere noi i criteri di risposta che volevamo, senza subire alcuna pressione esterna e ci siamo presi tutto il tempo necessario per acquisire i dati che ritenevamo necessari”. Questo è uno dei  chiari esempi che dimostra quanto sia grande la forza della ricerca indipendente e dell’impatto che questa può avere sui pazienti e quanto può influenzarne anche il futuro. “I tempi sono ormai maturi per definire questa come una base di partenza, da cui poi evolvere nuovi trattamenti”, spiega Palladini. “All’orizzonte vediamo un nuovo promettente farmaco per il mieloma multiplo che cercheremo di utilizzare anche nella Amiloidosi AL, magari partecipando ad un prossimo Bando delle idee GIMEMA“.