Il 6 marzo scorso è stato presentato a Roma “La cura del paziente oncoematologico – Relazioni ed emozioni tra medicina e psicologia”, un volume corale a cura di Flora Gigli che ricorda agli specialisti in ematologia l’importanza delle emozioni per prendersi cura dei pazienti ematologici.

La medicina di precisione sta rivoluzionando il modo in cui le neoplasie ematologiche vengono diagnosticate e trattate. Eppure, se l’attenzione rimanesse esclusivamente rivolta ai dati e alle nuove tecniche delle terapie personalizzate, i professionisti sanitari – specie i giovani specialisti in ematologia – rischierebbero di perdere di vista l’importanza della singolarità di ogni paziente, che invece richiede competenze sul piano emotivo, estendendo il concetto di “curare” a quello più ampio del “prendersi cura”. D’altro canto, c’è bisogno che i professionisti sanitari che operano nel campo dell’emato-oncologia imparino a “maneggiarsi con cura”, in quanto un maggior coinvolgimento emotivo, se non gestito nel modo ottimale, potrebbe condurre anche a disagio psicologico e burn out.

Per tutti questi motivi è nato “La cura del paziente oncoematologico – Relazioni ed emozioni tra medicina e psicologia”, un libro edito da Carocci editore a cura di Flora Gigli, psicologa clinica, psicoterapeuta e psico-oncologa che collabora con la Uoc Ematologia del Policlinico Umberto I di Roma e con l’Associazione italiana contro le leucemie, linfomi e mieloma (Ail). Il libro, che accoglie un dialogo tra professionalità diverse – tra cui anche Marco Vignetti, presidente GIMEMA, che ha curato il capitolo “Storie di cure e di curanti: chi è l’ematologo?” – e le voci dei pazienti oncoematologici, è stato presentato il 6 marzo 2023 all’interno della libreria Spazio Sette di Roma, insieme alla curatrice e ad alcuni degli autori.

Lo scopo del volume è quello di sensibilizzare gli ematologi in formazione sull’importanza di prendersi cura di ogni paziente nella sua interezza, affrontando le numerose sfide non solo mediche, ma anche emotive e relazionali, che si presentano durante l’esperienza di malattia.

Emozioni, alleate della cura

Trattamenti su misura, diagnosi sempre più precise, processi di prevenzione e cura altamente personalizzati: questo è quanto si propone di raggiungere la medicina di precisione, un modello di ottimizzazione delle strategie terapeutiche, diagnostiche e preventive che sta aprendo numerose porte alla cura delle neoplasie ematologiche. Servendosi di conoscenze e tecnologie altamente innovative, infatti, questo approccio consente alle terapie di diventare sempre più personalizzate, modellandole sulle caratteristiche biologiche di ogni singolo paziente: ciò si traduce in cure più efficaci, e quindi migliori. Eppure, tutto questo non basta: il rischio per i professionisti sanitari, infatti, è quello di perdere la complessità di ogni paziente, considerando anche il piano psicologico. “Oggi la ricerca va avanti e costruisce cose incredibili, come la medicina di precisione” afferma Gigli durante l’evento.

“Quello di cui mi rendo conto è che però resta sempre un caposaldo, quello di continuare a considerare le emozioni, che sono sempre presenti, nonostante la medicina decolli. Per esempio, avere a disposizione strumenti come le Car-T, che consentono a un paziente di sopravvivere quando magari dieci anni fa non sarebbe potuto accadere, non significa che quella persona non abbia lo stesso paura, soprattutto nel “dopo” della malattia, nel tempo in cui si resta fermi ad attendere che la vita normale riprenda da dove si è interrotta”.

Questo cambio di prospettiva richiede ai giovani specialisti in ematologia competenze legate alla sfera emotiva che esulano dagli apprendimenti puramente accademici e dalle dimensioni numeriche e tecniche proprie della medicina di precisione. “Tutti noi abbiamo bisogno di fermarci per capire che l’emozione è un alleato, è uno strumento di cura”, continua Gigli. “Occorre trovare un modo per ricordarci che provare delle emozioni non è un’interferenza, non è un ostacolo rispetto al processo di cura. L’emozione ci aiuta a risuonare con l’altro, a capire quello che sta succedendo”.

Mantenere l’equilibrio

Per fare tutto questo, occorre preservare un equilibrio tra l’empatia e la professionalità, altrimenti il rischio è quello di andare incontro a un grave disagio psicologico: come riporta una revisione sistematica e meta-analisi della letteratura, infatti, la prevalenza della sindrome da burnout (che si manifesta con esaurimento emotivo, depersonalizzazione e insoddisfazione sul lavoro) risulta essere elevata tra i professionisti sanitari che operano nel campo dell’oncologia: uno studio commissionato nel 2012 dall’Associazione statunitense di oncologia clinica (Asco) ha mostrato che circa il 45% degli oncologi riportava almeno un sintomo di burnout. Questo vale anche nell’ambito oncoematologico: un’indagine che ha valutato la prevalenza del burnout e la stima dei disturbi psichiatrici tra gli operatori sanitari oncoematologici in Italia ha trovato un alto livello di esaurimento emotivo nel 32,2% dei medici e nel 31,9% degli infermieri; un elevato livello di depersonalizzazione (rispettivamente nel 29,8 e nel 23,6% degli intervistati) e un basso livello di realizzazione personale (rispettivamente nel 12,4 e nel 15,3%).

Come fare, quindi, ad assicurare ai pazienti una presa in carico che coinvolga anche l’aspetto psicologico ma che non sfoci nel “darsi troppo” e nell’esaurimento emotivo dei professionisti sanitari?

La risposta, come suggerito da un documento dell’Asco, dovrebbe essere integrata: da una prospettiva individuale, i medici dovrebbero imparare a identificare i sintomi del burnout sia in loro stessi che nei loro colleghi, imparando strategie di resilienza e coltivando relazioni positive all’interno dell’ambiente di lavoro. Allo stesso tempo, a livello organizzativo è necessario riconoscere l’importanza del benessere psicologico dei professionisti in oncologia, promuovendo azioni volte a migliorare l’ambiente della pratica clinica e fornendo risorse per il benessere dei medici.

In conclusione, l’obiettivo di un volume come quello presentato, insieme ad altre azioni come l’integrazione continua del lavoro tra medici e psicologi, l’inserimento di percorsi sulla comunicazione e sulle relazioni all’interno dei programmi accademici e la continua collaborazione tra specialisti, è quello di promuovere l’integrazione della pratica medica con la gestione delle emozioni, rispondendo anche alla necessità degli operatori sanitari di “maneggiarsi con cura” per offrire al meglio la propria professionalità. Solo in questo modo è possibile assicurare a tutte le persone un processo di cura sempre migliore.