Medico, amico, fratello, confidente, primario: nei suoi quarantacinque anni di professione, Paolo Di Bartolomeo è stato tutto questo per i suoi pazienti.
Da studente di ematologia a direttore del centro trapianti di Pescara e del Dipartimento di Ematologia dell’ospedale di Pescara, Di Bartolomeo ha dedicato la sua vita a cercare di sconfiggere le malattie ematologiche. Forte delle storie vissute attraverso i pazienti, ha voluto raccontare la sua esperienza nel libro IO SONO CON TE, una vita in corsia tra pianti e gioie, edito da Baldini+Castoldi nell’aprile 2021.

 

Come è nata l’idea di scrivere questo libro?

Quello che ho ricevuto è molto di più rispetto a quanto ho dato: nel corso della mia esperienza professionale ho eseguito circa duemila trapianti e dalle storie dei pazienti ho avuto tantissimo.

Ho il cuore pieno di gratitudine, di gioia e di speranza: questo è ciò che volevo condividere. Il libro vuole essere un messaggio di speranza per le persone che pensano che per la loro malattia non c’è una via d’uscita. Non è un trattato scientifico, tutt’altro: attraverso le storie dei pazienti narrate in forma romanzata ho cercato di toccare il cuore dei lettori.

 

Nel corso della sua carriera professionale come è cambiata l’ematologia?

Il 12 dicembre 1976 a Pescara fu eseguito il primo trapianto di midollo osseo in un paziente leucemico in Italia: a quell’epoca pochissimi centri in Europa facevano trapianti di midollo osseo. Da allora ho preso parte a tutti i trapianti che sono stati eseguiti a Pescara e ho vissuto in prima persona un cambiamento radicale, nell’ematologia e nella medicina. Fino alla fine degli anni Settanta, infatti, i trapianti di midollo osseo erano costellati da molti più insuccessi che successi, soprattutto perché venivano trapiantati pazienti in fase avanzata di malattia.
Uno dei cambiamenti radicali è stato l’utilizzo di un nuovo farmaco, la ciclosporina. Le innovazioni negli anni successivi hanno poi prodotto un radicale cambio di prospettiva:

se prima, a seguito di un trapianto, sopravviveva solo il 10-20% dei pazienti, in seguito i numeri si sono invertiti, al punto che oggi oltre il 70-80% dei pazienti sopravvive al trapianto e molti di essi guariscono.

 

Un altro cambiamento è stato l’impiego dei donatori di midollo: all’inizio si trapiantavano solo i pazienti che avevano fratelli compatibili e questo succedeva in circa il 30% dei casi. Negli anni Ottanta si cominciò a indagare la possibilità dei donatori non consanguinei e cominciarono a sorgere le banche di donatori volontari di midollo osseo. Il nostro centro eseguì il primo trapianto di questo tipo nel 1989, un bambino di sei anni trapiantato con il midollo di un donatore inglese. Contestualmente iniziarono a sorgere le prime banche di unità di cordone ombelicale e infine iniziò l’era dei trapianti eseguiti da donatori familiari parzialmente compatibili. Grazie a tutti questi sforzi oggi possiamo dire che almeno il 95% dei pazienti che ha necessità può arrivare a un trapianto.

 

C’è una storia che le è rimasta impressa?

Ce ne sono tante: c’è la storia di Paola, a cui, dovendo dare nel libro un nome fittizio, le ho dato il mio, una bambina di otto anni che non ha potuto sottoporsi al trapianto. Paola aveva un’aplasia midollare, ha ricevuto più di mille trasfusioni, ha lottato per quattro anni e mezzo contro la malattia ma alla fine non ce l’ha fatta. C’è la storia di tre sorelle tutte affette da leucemia acuta, un fatto unico al mondo che ho presentato a numerosi congressi. Poi c’è il bambino che mi ha spinto a cambiare vita: io volevo fare il chirurgo ma nel 1973, da studente, avevo iniziato a fare un internato in Ematologia. Due anni dopo fu ricoverato questo bambino con una leucemia acuta refrattaria a ogni chemioterapia. Quando dopo pochi mesi purtroppo morì andai al suo funerale: fu lì che decisi che avrei fatto l’ematologo e avrei cercato di sconfiggere la morte.