Nel contesto dell’EHA 2023, il congresso della Associazione Europea di Ematologia, sono stati presentati i risultati preliminari dello studio GIMEMA AML1718 volto a valutare la sicurezza e l’efficacia di venetoclax in combinazione con il regime chemioterapico standard sui pazienti affetti da leucemia mieloide acuta a rischio alto e intermedio. Quanto finora ottenuto conferma l’efficacia del farmaco nell’indurre la remissione della leucemia con un’alta percentuale di malattia minima residua negativa dopo due cicli di terapia.

Il trattamento intensivo della leucemia mieloide acuta con una combinazione di farmaci chemioterapici permette di ottenere una remissione completa di malattia in una percentuale di casi che va dal 50% all’80%. Nonostante ciò, la maggior parte (60-70%) dei pazienti che risponde bene alla terapia ha una ricaduta. La terapia risulta scarsamente efficace soprattutto nei pazienti con le forme di leucemia mieloide acuta classificati non-low risk (elevato e intermedio rischio) secondo la classificazione European Leukemia Net (ELN) del 2017 e che hanno quindi una prognosi negativa e una sopravvivenza ridotta.

La ricerca sta puntando l’attenzione sullo studio di nuove terapie per il trattamento dei soggetti che hanno una scarsa risposta alla chemioterapia standard.

Lo studio GIMEMA AML1718 è stato progettato per valutare la sicurezza e l’efficacia del farmaco biologico venetoclax in combinazione con il protocollo chemioterapico che prevede l’impiego dei farmaci fludarabina, citarabina e idarubicina.

Venetoclax è un inibitore selettivo di BCL-2, una proteina implicata nella regolazione della sopravvivenza cellulare che essendo sempre attiva in modo anomalo nelle cellule tumorali permette loro di evitare la morte programmata.

“Al congresso EHA 2023 abbiamo presentato i risultati preliminari dell’analisi centralizzata della malattia minima residua con la metodica della citometria a flusso multicolore (MFC-MRD — Multicolor Flow Citometry — Minimal Residual Disease), eseguita durante la seconda parte dello studio, nella quale è stata somministrata la più bassa dose efficace di venetoclax (400 mg/giorno) in associazione con la chemioterapia”, spiega Paola Minetto, ricercatrice ed ematologa presso l’IRCCS Ospedale Policlinico San Martino di Genova.

In questa parte dello studio sono stati coinvolti 67 pazienti: il 46% con una leucemia mieloide acuta a rischio intermedio e il 54% ad alto rischio.

“Lo scopo di questa analisi è quello di valutare il livello di malattia minima residua per identificare il miglior time point (TP), ovvero il momento migliore, per analizzarla. Per farlo abbiamo condotto un’analisi centralizzata a Genova dove abbiamo raccolto i campioni dei 67 pazienti arruolati in 11 diversi centri ematologici italiani. La centralizzazione permette di rendere i dati più omogenei ed evitare discrepanze che ci possono essere quando si conducono analisi in laboratori diversi”, continua Minetto.

È importante sottolineare che i risultati ottenuti sono preliminari e si basano su una raccolta parziale di campioni. Dopo il primo ciclo di terapia (TP1) la percentuale di pazienti con malattia minima residua negativa è stata del 71,4% (40 dei 56 pazienti dai quali sono stati raccolti i campioni) ed è aumentata dopo il secondo ciclo (TP2) fino al 96,5% (28 su 29 pazienti).

“Con i dati che abbiamo finora a disposizione possiamo dire che la terapia con venetoclax in associazione con la chemioterapia ha dimostrato avere un’ottima efficacia sui pazienti affetti da leucemia mieloide acuta classificati ad alto e intermedio rischio. Risultato confermato dall’alto tasso di remissioni complete ottenute nei primi time point, dopo il primo ciclo di terapia e dopo il secondo. La negatività della malattia minima residua è un fattore prognostico favorevole importante, indica la remissione a livello molecolare della malattia, e ottenerla già nei primi cicli di terapia in pazienti con una malattia difficile da trattare è un dato molto importante”, conclude Minetto.

I risultati ottenuti nello studio AML1718, in questo sottogruppo di pazienti con prognosi sfavorevole, sono molto incoraggianti e confermano quelli presentati all’ultimo congresso ASH2022.