Oggi sappiamo che il sangue scorre attraverso arterie, vene, capillari e che tramite un circolo chiuso ritorna al cuore. Fino alla fine del 1500, invece, si riteneva che il sangue fosse generato nel fegato. La scoperta del sistema circolatorio risale al 1628 e rappresenta ancora oggi l’avvenimento più importante nel mondo della fisiologia, grazie al medico inglese William Harvey.

Nato nel 1578 a Folkestone, Harvey intraprese gli studi di Medicina a Cambridge, ma fu il suo incontro a Padova con il chirurgo italiano Fabrizio d’Acquapendente che lo spinse ad approfondire i suoi studi sulla circolazione. Michele Riva, ricercatore in Storia della Medicina all’Università degli Studi di Milano Bicocca, spiega quanto il contesto in cui visse Harvey fu importante per i suoi studi: “Riuscì a compiere la scoperta della circolazione sanguigna grazie al periodo storico: nel 1600 il mondo scientifico era intriso della nuova metodologia sperimentale introdotta da Galileo Galilei, che può essere definito uno dei padri di questa scoperta. Non è un caso che Harvey andò a studiare all’università di Padova, considerata all’epoca come ‘l’Harvard europea’, dove aveva insegnato Galileo”.

Il modello di Galeno: un dogma per secoli

William Harvey e la circolazione sanguigna – Fondazione GIMEMA

Schema del movimento del sangue secondo Galeno

“Fino a quel momento vigeva ancora un modello di fisiologia dell’organismo basato su quello di Galeno, che nel II secolo d.C. aveva individuato un sistema di funzionamento umano secondo il quale il sangue aveva origine nel fegato e dal fegato arrivava nell’atrio e nel ventricolo destro del cuore, prima di evaporare e trasformarsi in pneuma, il principio vitale. Questo sistema non reggeva più perché era diventato evidente che sia le vene che le arterie contenevano sangue”. Si iniziò così a capire che al loro interno non scorreva il pneuma, come sosteneva Galeno. Nessuno studioso aveva avuto il coraggio di contestarlo, finché non lo fece Galileo con il metodo scientifico. Prima di Harvey altri medici italiani ed europei misero in dubbio l’idea che la produzione del sangue avvenisse a livello del fegato e che il sangue scorresse solo nelle vene, mancavano però pubblicazioni scientifiche. “Il primo fu Harvey – racconta Riva – che dopo gli studi a Padova ritornò a Londra in un ambiente più aperto rispetto al mondo italiano”.

Quella di Padova era un’università molto frequentata da studenti inglesi di Medicina: “Nel periodo della Controriforma non tutte le università cattoliche permettevano la frequenza di studenti che non professavano la religione cattolica. Padova sì, perché si trovava sotto la Repubblica Veneta che in quegli anni era in contrasto anche dal punto di vista dottrinale con la chiesa di Roma. Rispetto a università come quelle di Parigi o di Bruxelles, per un europeo era più facile studiare a Padova”.

Il sostegno della politica inglese

Pochi anni prima, anche il medico spagnolo Michele Serveto aveva sostenuto che il sangue circolasse all’interno del corpo e che quello sanguigno fosse un sistema circolatorio: ma proprio per questa sua affermazione fu considerato “eretico” nella Ginevra calvinista e bruciato sul rogo. “Persino il Cristianesimo protestante aveva paura della concezione del sangue all’interno di un sistema circolatorio, perché significava contestare un’autorità come Galeno, le cui affermazioni sono rimaste un dogma per quattordici secoli”, ricorda Riva. Fino al contributo rivoluzionario e coraggioso di Harvey, che nonostante la punizione di Serveto continuò gli esperimenti sulla circolazione. Una precisazione è però doverosa, sottolinea il professore: “Harvey era sostenuto da Carlo I, che ha dimostrato come la politica dovesse sostenere la scienza senza paura. Va detto che se Harvey fosse stato italiano non avrebbe pubblicato la sua opera”.

William Harvey e la circolazione sanguigna – Fondazione GIMEMA

Immagine delle vene dalla Exercitatio Anatomica de Motu Cordis et Sanguinis in Animalibus di Harvey

L’opera rivoluzionaria “De Motu Cordis” nel 1628

D’altro canto, fu proprio all’università di Padova che Harvey apprese che la medicina si studiava tramite esperimenti. Rientrato in Inghilterra, grazie ai finanziamenti del re Carlo I, il medico inglese ebbe la possibilità di poterli portare a termine e pubblicare i risultati nel 1628 all’interno dell’opera Exercitatio anatomica de motu cordis et sanguinis in animalium. Riva spiega che proprio nelle parole “exercitatio anatomica” risiede il concetto della “sperimentazione”: “Harvey aveva capito che il sangue scorreva dalle arterie alle vene e arrivava in periferia e poi fino al cuore, ma mancava un tassello finale: la scoperta dei capillari. Il circuito di Harvey era un circuito aperto, che dal punto di vista idraulico non poteva funzionare”. Sarà il medico bolognese Marcello Malpighi a individuare l’esistenza dei capillari: “La scoperta di Harvey è fondamentale per la storia della medicina – spiega il professore di storia della medicina – ma non si può ritenere completa senza il contributo di Malpighi”.

Cosa ha insegnato la scoperta di Harvey

“La scoperta di Harvey è importantissima nella storia della Medicina perché insegna il metodo sperimentale. È la prima grande scoperta ottenuta con il metodo sperimentale di Galileo”, afferma Riva. La medicina procede grazie alla sperimentazione: non sempre però si hanno a disposizione tutti gli strumenti per arrivare alla conclusione finale. “Harvey svolse un esperimento corretto, ma non poté arrivare alla scoperta dei capillari perché mancava uno strumento decisivo: il microscopio. Lo fece Malpighi 50 anni dopo”. Per fare un parallelismo attuale, oggi ci poniamo di fronte alla pandemia come nel 1600 osservavano la circolazione sanguigna, ricorda Riva: “Ogni giorno impariamo qualcosa del coronavirus, ma non abbiamo ancora a disposizione tutti gli strumenti per conoscerlo in ogni suo aspetto. Magari ci servirà ancora qualche anno, come Malpighi insegna”.