La fatigue è un sintomo estremamente comune nei pazienti con leucemia mieloide acuta (AML). Nonostante diversi studi ne abbiano studiato le dinamiche, non erano note le categorie più a rischio e mancavano ricerche comparative tra pazienti affetti da AML e popolazione generale. I risultati di questa indagine potranno aiutare i clinici a implementare terapie di supporto.

Nei pazienti affetti da leucemia mieloide acuta (AML), una delle forme più diffuse di leucemia nella popolazione adulta, la fatigue (termine tecnico che indica affaticamento) è il sintomo che si manifesta con maggiore frequenza. I ricercatori del GIMEMA, in collaborazione con la Northwestern University di Chicago, hanno appena pubblicato su BMJ Supportive & Palliative Care il primo studio che confronta il livello di fatigue tra la popolazione generale e i pazienti affetti da AML, con diagnosi recente e in assenza di trattamento.

I risultati ottenuti mostrano che i livelli di affaticamento, analizzati attraverso il FACIT-Fatigue questionnaire, risultano peggiori nei pazienti con AML di ben 7.5 punti rispetto a quelli dalla popolazione generale.

Si tratta di un dato molto rilevante, che equivale a più del doppio del punteggio definito come la soglia di differenza clinicamente significativa (3 punti), ossia il limite oltre il quale si può dire che la differenza ha una rilevanza dal punto di vista medico. Nel 91% dei pazienti leucemici in generale questi livelli risultano uguali o peggiori rispetto a quelli medi mostrati dalla popolazione generale.

L’analisi condotta ha previsto anche il confronto tra la popolazione generale e specifiche categorie di rischio dei pazienti con AML, definite dal National Comprehensive Cancer Network (NCCN) sulla base dei fattori prognostici. Il gruppo definito poor risk (con prognosi peggiore della neoplasia) mostra la differenza più elevata nel livello di fatigue in rapporto alla popolazione generale: 8,9 punti. In questo caso la differenza è quasi tripla considerando sempre la soglia clinicamente significativa. Infine, gli autori hanno approfondito anche altri fattori che, nei pazienti con AML, potrebbero determinare differenti livelli di affaticamento. Per gli aspetti sociodemografici e clinici i ricercatori hanno condotto un’analisi multivariata, un tipo di analisi che prende in considerazione più fattori contemporaneamente per capire se c’è una relazione tra loro, in grado di considerare il peso di ogni fattore.

Il sesso femminile, le condizioni fisiche generali non ottimali e il basso numero di piastrine nel sangue sembrano avere un effetto negativo sul livello di fatigue. Lo stesso effetto negativo si riscontra nel caso in cui il paziente presenti la mutazione molecolare FLT3-ITD.

Quest’ultimo pur essendo un risultato ottenuto unicamente attraverso un’analisi univariata – che ha preso in considerazione solo il fattore mutazione – ha una rilevanza poiché la FLT3-ITD è molto frequente: appare in circa un terzo dei pazienti con AML. Sono comunque necessari ulteriori studi per approfondire questa e altre implicazioni cliniche della mutazione.

Le correlazioni mostrate nello studio GIMEMA dovranno essere confermate da futuri studi prospettici, che seguiranno i pazienti con AML per diversi anni. Quello pubblicato sul BMJ è infatti uno studio trasversale, si basa cioè sull’osservazione di un campione di persone in un preciso momento e non può quindi stabilire se una determinata condizione sia causata da un certo fattore. Inoltre, per le analisi condotte non erano disponibili dati relativi a sintomi specifici, già in precedenza associati ai pazienti oncologici con fatigue, come dolore e depressione. “In ogni modo – assicurano gli autori – la nostra ricerca è molto solida. Questa è ad oggi l’indagine più ampia mai realizzata relativamente al livello di fatigue nei pazienti con AML in assenza di trattamento”. Diversi studi infatti si sono focalizzati sulla fatigue manifestata da questa categoria di pazienti oncologici, tuttavia un numero molto limitato ha analizzato anche la correlazione con potenziali fattori indipendenti. I risultati saranno dunque di grande aiuto ai clinici per individuare preventivamente i sottogruppi specifici di pazienti più esposti a affaticamento e per attivare di conseguenza adeguati protocolli di supporto.