Le prospettive per i malati di leucemia oggi sono molto cambiate rispetto a quelle anche solo di qualche anno fa. Non esiste più una forma di leucemia che non si possa provare a curare con le terapie a disposizione, ma ancora non tutti possono guarire definitivamente. Vi sono alcune forme la cui sopravvivenza a lungo termine è prossima al 100%. Per altre forme più difficili da trattare comunque ci sono delle opportunità.

Per leucemia si intende una malattia neoplastica, un tumore, che fa sì che nel midollo osseo si originino delle cellule che iniziano a proliferare in maniera incontrollata, provocando un aumento di globuli bianchi patologici. Si distinguono in forme di leucemia acute e croniche, a seconda della velocità con cui i globuli bianchi aumentano nel sangue; e in mieloidi e linfoidi a seconda degli elementi del sangue dai quali queste “cellule impazzite” originano.

“Le cose sono molto cambiate negli ultimi anni grazie alla ricerca scientifica e farmacologica – spiega Luca Vago professore associato di Ematologia presso l’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano. La prognosi è variabile, sia per il tipo che il sottotipo di leucemia all’interno della singola famiglia. Sono proprio mondi diversi”.

Leucemie croniche 

“Le leucemie croniche  – prosegue Vago – sono più frequenti di quelle acute, ma sono sostanzialmente benigne e indolenti. La leucemia mieloide cronica, ad esempio, fino a metà degli anni Novanta aveva una prognosi difficile, era necessario il trapianto di midollo, mentre da vent’anni a questa parte grazie a farmaci molto specifici per il difetto genetico che la origina, non è necessario il trapianto: in quasi la totalità dei casi con delle pastiglie si cura”.

Leucemie acute e nuove terapie

Le forme oggi ancora più sfidanti sono le leucemie acute, che richiedono intensità di cura maggiore e quindi ospedalizzazioni. “Tuttavia, anche per queste forme sono stati fatti progressi importanti, in particolare su due fronti. Il primo è che a inizio millennio sono diventati operativi gli strumenti per studiare il genoma umano, sequenziarlo e capire le sue alterazioni nelle cellule tumorali. Oggi siamo abituati a mappare i difetti genetici delle leucemie dei nostri pazienti, e questi difetti ci informano sulla gravità della malattia e su come aggredirla. Conoscere i difetti molecolari di ogni forma di leucemia ci ha permesso di individuare dei bersagli molecolari specifici che sono diventati target di farmaci mirati”. L’esempio più eclatante è quello della leucemia promielocitica, “un sottotipo di leucemia mieloide acuta, considerata fulminante negli anni 70 che oggi ha tassi di guarigione del 95% grazie all’identificazione del difetto molecolare da cui origina e di un farmaco che permette di riportare il comportamento delle cellule malate alla normalità. Un progresso che molto deve alla ricerca italiana, e in particolare al contributo del compianto professor Francesco Lo Coco” racconta Vago.

Per le leucemie mieloidi acute – fra le forme più gravi di malattia – dagli anni ’80 fino al 2000 non sono stati identificati nuovi farmaci, mentre negli ultimi dieci anni ne sono stati approvati ben dieci.

“Il secondo progresso rivoluzionario della ricerca sulle leucemie è dato dall’immunoterapia. I tumori del sangue sono infatti il contesto in cui l’immunoterapia ha dato finora i migliori risultati. Il capostipite delle immunoterapie per curare i tumori del sangue è rappresentato dal trapianto di midollo osseo che permette di trasferire tutto il sistema immunitario del donatore al paziente. Nel corso degli ultimi vent’anni anche il trapianto è cambiato in maniera sostanziale e mentre prima era molto impegnativo da affrontare, tossico e rischioso, tanto che lo si riservava solo a pazienti sani con meno di 50 anni, oggi è diventato molto più tollerabile e si propone anche a pazienti fino a 75 anni”.

I nuovissimi farmaci immunoterapici stanno rivoluzionando anche la cura di alcune forme gravi di leucemia, in particolare come la leucemia linfoblastica acuta nei bambini, che oggi ha una sopravvivenza a lungo termine intorno all’80%.

L’immunoterapia si basa sull’idea di sfruttare il sistema immunitario del malato per aggredire le cellule malate.

“Vi sono diversi approcci immunoterapici – continua Vago – e tra i più promettenti e recenti ci sono le cellule Car-T, che vengono geneticamente modificate inserendo un recettore per fare sì che si attacchino alle cellule tumorali e possano così riconoscerle e attaccarle. Sono farmaci già disponibili, appunto, nelle leucemie linfoblastiche acute del bambino e che stanno dando grandi risultati su tutte le malattie tumorali linfoidi”.

Nelle patologie mieloidi l’immunoterapia sta dando meno risultati, perché è più difficile identificare bersagli specifici per attaccare una cellula mieloide malata: “Stiamo lavorando per individuare un buon bersaglio anche sulla cellula mieloide tumorale, che non sia presente su quelle sane, per poi costruire un farmaco che attacchi le prime risparmiando le seconde”.

Le prossime sfide 

La sfida attualmente più grande nella lotta contro le leucemie è rappresentata dalla crescente consapevolezza dell’eterogeneità dei pazienti e delle loro malattie: non solo ogni tumore è differente geneticamente, ma lo è ogni paziente, anche in termini di presenza di altre malattie croniche concomitanti. Anche per questo i pazienti anziani, quelli più frequentemente colpiti da queste patologie, sono in media più difficili da trattare rispetto ai più giovani.

Un’altra sfida aperta è quella rappresentata dalle recidive: quando la leucemia ricompare dopo un trapianto o un altro tipo di trattamento, spesso presenta una forma diversa da quella originale, e ha solitamente caratteristiche di resistenza al primo trattamento che la rendono più difficile da aggredire.

“Anche in questo aspetto sono stati fatti dei progressi – conclude Vago – oggi abbiamo trattamenti di seconda linea efficaci, ma stiamo lavorando, io per primo insieme al mio team, nell’ambito della medicina personalizzata: capire cioè sempre meglio perché queste forme di recidiva compaiono in alcuni pazienti, perché sono invisibili al sistema immunitario trasferito col trapianto, e come renderle di nuovo aggredibili utilizzando strategie personalizzate.”

 

 

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