Per la prima volta uno studio GIMEMA ha mostrato che nelle persone anziane il trattamento con un chemioterapico di seconda linea a basse dosi permette di raggiungere ottime risposte con minori effetti collaterali

Dopo un periodo di osservazione di tre anni, uno studio prospettico GIMEMA ha mostrato buoni dati di efficacia e un’ottima tollerabilità di un chemioterapico di seconda linea – il bosutinib – somministrato, per la prima volta, a basse dosi in pazienti anziani affetti da leucemia mieloide cronica, incrementando le quantità di farmaco solo se necessario. È quanto emerge dal poster presentato dai ricercatori del team GIMEMA durante il congresso dell’Associazione Europea di Ematologia (EHA), tenutosi a Vienna e in forma ibrida dal 9 al 17 giugno scorso.

Generalmente i pazienti con leucemia mieloide cronica che richiedono un trattamento di seconda linea hanno un’età superiore ai 60 anni: si tratta di una categoria fragile, perché molti di loro presentano altre malattie concomitanti dovute all’età, che di conseguenza diminuiscono la tollerabilità delle terapie.

Il bosutinib è un farmaco chemioterapico di seconda linea appartenente alla classe delle tirosin-chinasi, che nelle persone anziane ha un profilo di tollerabilità migliore rispetto ad altri farmaci della stessa categoria. Eppure solitamente farmaci di questo tipo (compreso il bosutinib) vengono somministrati a una specifica dose iniziale, che poi viene ridotta solo qualora la terapia si dimostrasse poco tollerata dai pazienti.

Il lavoro presentato al congresso EHA 2022, il cui primo autore è Fausto Castagnetti, professore associato del dipartimento di Medicina specialistica, diagnostica e sperimentale dell’Università di Bologna, prosegue l’osservazione dei risultati raggiunti in uno studio clinico presentato nel 2020, che aveva ribaltato questa prospettiva: per la prima volta, infatti, era stata valutata l’efficacia del bosutinib a basse dosi, somministrando il chemioterapico a una dose iniziale di 200 mg (contro i 400 mg “tradizionali”), che veniva aumentata solamente se la risposta dei pazienti non era soddisfacente, in quello che viene detto processo di ottimizzazione della dose. I ricercatori avevano monitorato i pazienti per un anno, misurando la risposta molecolare al trattamento, standard che viene utilizzato per verificare quanto sia presente la malattia ematologica.

Lo studio presentato nel 2022 va oltre questi risultati: tutti i parametri osservati nel primo anno di trattamento sono stati seguiti per ulteriori due anni, per osservarne l’efficacia e i risultati a lungo termine. Quello condotto è uno studio prospettico, un tipo di studio clinico in cui si osserva uno o più gruppi di pazienti per un determinato periodo di tempo, al fine di raccogliere informazioni e registrare lo sviluppo dei risultati raggiunti anche a lungo termine. L’approccio terapeutico a basse dosi ha prodotto tassi di risposta elevati, pochi pazienti hanno richiesto un aumento della dose a 400 mg, mentre la maggior parte dei pazienti è rimasto sulla dose da 300 mg o inferiore.

“Si tratta di un lavoro innovativo, che per la prima volta fornisce dati solidi riguardo l’incremento della dose del bosutinib a partire da dosi basse”, commenta Castagnetti. “Infatti è la prima volta che questi dati di efficacia, seppur compatibili con altri studi, si ottengono mediante la somministrazione di un chemioterapico a dosi basse. Questo ha significato una tollerabilità decisamente migliore per i pazienti che, essendo anziani, spesso sono più fragili: nessuno ha mostrato una tossicità gastrointestinale, che può invece insorgere a dosi più alte”. Questo ha consentito anche che un buon numero di pazienti continuasse la terapia. “La cosa interessante è che questa strategia, oggi verificata con il bosutinib, potrebbe essere estesa anche per altri farmaci”, conclude il ricercatore.