Pochi studi hanno approfondito quali ripercussioni il Covid-19 ha avuto su pazienti ematologici con un sistema immunitario indebolito. Uno studio pubblicato sulla rivista Blood Cancer Journal del gruppo Nature ha analizzato il ruolo dell’anticorpo monoclonale rituximab nella produzione di anticorpi specifici contro SARS-CoV-2.

“Il progetto è nato in un momento veramente traumatico: quando è cominciata la pandemia la parte della Lombardia orientale ne è stata investita completamente. Ricordo perfettamente che la reazione nel resto d’Italia era di incredulità. Invece, qui a Brescia, ci siamo trovati dall’oggi al domani con un ospedale completamente trasformato in ospedale plurispecialistico, quasi interamente ospedale covid, con un reparto di ematologia che doveva continuare a funzionare”. Così inizia a raccontare Chiara Cattaneo, medico del centro di ematologia Spedali Civili di Brescia e responsabile del settore degenze dell’unità operativa di ematologia, in un’intervista per GIMEMA Informazione.

I risultati del progetto al quale si riferisce sono stati pubblicati sulla rivista Blood Cancer Journal del gruppo Nature e riguardano una fascia di popolazioni fra le più fragili: quella dei pazienti già soggetti a malattie che compromettono il sistema immunitario. Sono pochi gli studi che cercano di approfondire quali ripercussioni Covid-19 ha avuto su di loro, motivo per cui lavori come quello di Cattaneo sono fondamentali.

Qual è l’obiettivo dello studio?

“Lo scopo dello studio è quello di vedere la risposta immunitaria dei nostri pazienti ematologici, è nato dall’esigenza di capire come potessero rispondere dal punto di vista immunologico i malati. La fortuna è stata che Luigi Notarangelo – ricercatore al National Institute of Allergy and Infectious Disease statunitense – ha proposto alla comunità medica degli Spedali Civili di Brescia uno studio con questo stesso obiettivo. La proposta consisteva in una raccolta di campioni fra tutti i pazienti dai quali abbiamo poi estrapolato i dati dei pazienti ematologici”.

Quali sono stati i risultati?

“I risultati sono stati sorprendenti. Nonostante non ci siano differenze significative nei livelli medi di anticorpi tra pazienti ematologici e pazienti senza malattie del sangue, c’è una quota di pazienti che risponde diversamente. Nello studio sono stati inclusi pazienti con malattie mieloproliferative croniche e linfoproliferative, tra cui mielomi, linfomi indolenti e aggressivi.

I pazienti con malattie mieloproliferative per lo più rispondono anche discretamente, come i malati di mieloma. Quelli che rispondono meno bene sono i malati affetti da linfoma che, in particolare, hanno assunto l’anticorpo monoclonale rituximab entro 6 mesi dalla malattia COVID-19.

Il merito di questo studio è di aver seguito questi malati nel periodo successivo all’infezione, constatando che i pazienti cui è stato somministrato rituximab non mostrano risposta immunitaria nella quasi totalità dei casi, neanche sei mesi dopo l’infezione da Covid-19”.

Qual è il ruolo del vaccino anti-Covid nella risposta immunitaria?

“Stiamo valutando anche questo longitudinalmente, seguendo cioè gli stessi pazienti per diverso tempo, all’interno di un progetto di più ampio respiro.
Abbiamo selezionato, tra i vaccinati contro SARS-CoV-2, 20 pazienti che in passato hanno contratto l’infezione e 20 che non l’hanno contratta, valutando la risposta anticorpale nel tempo. Anche in questo caso io mi aspetterei di vedere delle risposte meno brillanti nei pazienti che hanno fatto rituximab, ma il risultato sarà da verificare”.

Che ripercussioni sociali e politiche avrà la sperimentazione?

“Questo studio fornisce sicuramente delle importanti informazioni sulla politica vaccinale.

Dobbiamo considerare che i malati affetti da malattie linfoproliferative che hanno fatto il rituximab sono i più delicati e forse meno protetti, nonostante la vaccinazione. Questi andrebbero monitorati attentamente, anche per vedere come comportarsi con i richiami futuri del vaccino.

Interessante sarà, quindi, vedere se dopo la seconda dose ci potrà essere un recupero della risposta anticorpale. Certamente, la principale limitazione dello studio è stata la grandezza del campione: se avessimo avuto un campione più ampio, forse avremmo potuto trarre conclusioni più definitive. Per questo motivo sarà interessante, in futuro, studiare un campione più ampio, continuando a monitorare i pazienti dopo il vaccino”