Negli ultimi anni, la ricerca scientifica ha permesso di ampliare sempre più le conoscenze sulla leucemia a grandi linfociti granulati (LGLL), evidenziandone soprattutto l’elevata eterogeneità. È il messaggio principale di una recente revisione, che fornisce una panoramica su quanto sappiamo e quanto abbiamo ancora da comprendere su questa malattia, per la quale mancano ancora opzioni terapeutiche mirate.

La leucemia a grandi linfociti granulati (LGLL) è una patologia rara, spesso diagnosticata causalmente con esami di routine. È caratterizzata da una proliferazione anomala di linfociti granulati, in particolare del tipo T o NK, che determinano come sintomo più comune la neutropenia, severa in circa la metà dei casi. Questa leucemia si sta rivelando più eterogenea di quanto si pensasse.

Solo del 2008 la LGLL è stata inclusa dall’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) tra le neoplasie mature di tipo T e NK, con la distinzione in tre diversi sottotipi: T-LGLL, NK-LGLL e leucemia NK aggressiva. Diagnosi, classificazione e opzioni di trattamento della LGLL hanno infatti una storia recente e tutt’oggi in evoluzione e approfondimento. Allo stato dell’arte sulle conoscenze riguardanti questa malattia e alle prospettive per la ricerca futura è dedicata una recente revisione pubblicata sulla rivista Blood Review, firmata da un gruppo italiano di medici e ricercatori dell’Università di Padova e dell’Istituto Veneto di Medicina Molecolare.

“Il messaggio principale del nostro lavoro è che, quando si parla di leucemia LGL, non stiamo trattando una sola malattia, bensì un insieme di malattie, ciascuna con le sue caratteristiche”, spiega Gianpietro Semenzato, professore emerito dell’Università di Padova e primo autore dell’articolo.

Da anni Semenzato si occupa di questa particolare forma di leucemia: a marzo di quest’anno, è stato tra gli autori di articolo scientifico che presenta i risultati del primo studio internazionale dedicato a un particolare sottotipo di LGLL (LGLL gamma-delta), volto a descriverne le caratteristiche biologiche e molecolari.

Se l’esame dell’immunofenotipo è tutt’oggi chiave per il riconoscimento della malattia e la distinzione dei suoi diversi sottotipi, sono stati gli avanzamenti nel campo della genetica molecolare a permettere di identificarne le mutazioni correlate alla LGLL. La revisione di Semenzato sottolinea appunto l’importanza degli screening genetici per un’accurata caratterizzazione delle diverse forme di LGLL; nello specifico, suggerisce lo screening per le mutazioni dei geni della famiglia STAT, finora le più comuni tra quelle identificate nei pazienti. La raccomandazione è stata inserita anche nell’ultima edizione della classificazione dei tumori ematologici dell’OMS, curata da un panel internazionale di esperti della malattia cui Semenzato è stato invitato a far parte.

Molto resta comunque ancora da capire sulle cause e sui meccanismi della LGLL. Questo fa sì che anche il trattamento rimanga una questione aperta. Indolente nella maggior parte dei casi, la LGLL può, più di rado, presentarsi come aggressiva e richiedere una terapia adeguata. Il trattamento è oggi basato sull’impiego di immunosoppressori, ma le prove a sostegno dell’efficacia di questo approccio rimangono scarse a causa della mancanza di trial clinici prospettici.

“L’ampliamento delle conoscenze sempre maggiore nel corso degli ultimi anni ha ormai messo bene in chiaro quanto la LGLL sia eterogenea, permettendoci anche di distinguere sempre meglio i diversi sottogruppi della malattia. Una più precisa comprensione del ruolo delle mutazioni, anche quelle identificate più di recente, e dei meccanismi patogenetici che sottendono la malattia costituiranno la base per lo sviluppo di trattamenti mirati”, conclude Semenzato.