Grazie al contributo della sezione locale AIL Benevento OdV – Stefania Mottola, il GIMEMA potrà proseguire nell’attività di approfondimento di analisi dei dati raccolti per lo studio GIMEMA AML 1310, “Terapia adattata al rischio genetico/citogenetico e basata sulla determinazione della malattia minima residua per pazienti giovani (≤60 anni) affetti da leucemia mieloide acuta di nuova diagnosi”.

Le donazioni della sezione di Benevento serviranno a finanziare il contratto, della durata di due anni, di una giovane ricercatrice che contribuirà alla pubblicazione e alla divulgazione dei risultati delle nuove analisi statistiche dello studio.

Lo studio AML1310, i cui risultati sono stati pubblicati sulla rivista Blood nel 2019 da Venditti e collaboratori, è il primo studio GIMEMA su pazienti adulti con leucemia mieloide acuta in cui la scelta del trattamento per i pazienti ha integrato l’analisi di specifiche alterazioni molecolari e citogenetiche e la valutazione della malattia residua misurabile (MRD).

In particolare, per i pazienti erano previste tipologie di trapianto diverse (trapianto allogenico o autologo) secondo le diverse categorie di rischio e i livelli di malattia minima residua e venivano stimate, nei sei anni di follow-up dello studio, la sopravvivenza totale e la sopravvivenza libera da malattia (valutata proprio attraverso il monitoraggio della malattia minima residua). Il protocollo AML1310 ha adottato un approccio più personalizzato di cura con l’obiettivo di modellare la terapia in base alla risposta del paziente e di affinare la capacità di previsione degli esiti della malattia, discostandosi dal classico approccio “one-size-fits-all” (uguale per tutti). L’inizio della sperimentazione risale al 2009. Lo studio si è poi concluso nel 2015, e ha coinvolto 515 pazienti.

Con il supporto di AIL Benevento OdV – Stefania Mottola sarà possibile continuare a indagare una delle principali strategie terapeutiche proposte da GIMEMA per il trattamento della leucemia mieloide acuta – quella basata sul rischio e guidato dalla valutazione della malattia minima residua – per capire in maniera sempre più approfondita le caratteristiche cliniche e biologiche dei pazienti che hanno beneficiato della terapia.

In questo modo, in futuro, sarà possibile impostare terapie sempre più basate sulle caratteristiche della malattia del singolo paziente evitando di sottoporre a terapie pesanti i pazienti che appartengono alla categoria di rischio “basso” o di trattare in modo non efficace coloro che appartengono alla categoria di rischio “intermedio” o “alto”. Un approccio, quindi, in cui la clinica e la biologia si fondono per permettere al paziente di ricevere la terapia più adatta al singolo caso.