Un recente studio, condotto in 51 centri italiani, accende una speranza per le persone affette da mieloma multiplo recidivato o refrattario (MMRR). I ricercatori hanno infatti valutato i risultati nella pratica clinica di un trattamento chiamato IsaPd, che combina isatuximab, pomalidomide e desametasone, dimostrando che è efficace e ben tollerato da molti pazienti.
Il mieloma multiplo è una patologia maligna che provoca proliferazione incontrollata di plasmacellule, principalmente nel midollo osseo. Le persone affette da questa malattia presentano generalmente dolori ossei e aumentato rischio di fratture, problemi renali e indebolimento del sistema immunitario. Anche se negli ultimi anni diversi approcci terapeutici hanno migliorato la prognosi dei pazienti affetti da mieloma multiplo, una frazione di loro presenta un decorso progressivo, con una scarsa risposta al trattamento o una progressione della malattia entro 60 giorni dal trattamento più recente: si parla in questo caso di mieloma multiplo recidivato o refrattario (MMRR).
Per contrastare il mieloma multiplo recidivato o refrattario, diversi centri ematologici italiani hanno sperimentato l’utilizzo di IsaPd, una combinazione di tre farmaci: 1) Isatuximab, un farmaco mirato che aiuta il sistema immunitario a riconoscere e attaccare le cellule del mieloma; 2) Pomalidomide, un farmaco immunomodulante che aiuta a controllare la crescita delle cellule tumorali; 3) Desametasone, un corticosteroide che riduce l’infiammazione e gli effetti collaterali ad essa correlati. L’efficacia di questa combinazione, già studiata in passato in un trial clinico, è stata ora testata da un gruppo di ricercatori italiani nella pratica clinica reale (real world, cioè, al di fuori di studi clinici controllati), che spesso riguarda pazienti con un quadro clinico più complesso.
La ricerca, i cui risultati sono stati recentemente pubblicati sulla rivista Haematologica, ha coinvolto 270 pazienti con MMRR che avevano già ricevuto almeno due linee di terapia. Alcuni avevano una malattia più avanzata: quasi il 30% di loro, infatti, presentava una funzione renale ridotta, e circa il 20% era già stato trattato con un altro recente farmaco, il daratumumab, senza benefici significativi.
Abbiamo approfondito alcuni punti con il Professor Massimo Gentile, Direttore dell’Unità Operativa Complessa di Ematologia dell’Azienda Ospedaliera Annunziata di Cosenza e tra i principali autori dello studio.
I risultati osservati sono stati incoraggianti: il 74% dei pazienti ha risposto al trattamento, con una riduzione o addirittura un arresto della crescita del mieloma. Quasi il 15% di loro ha raggiunto una remissione completa, senza segni evidenti della malattia. Inoltre, il tempo medio trascorso prima che la malattia peggiorasse (sopravvivenza libera da progressione) è stato di 15,7 mesi, superiore a quello osservato in studi precedenti. Infine, la sopravvivenza globale è risultata buona: assestandosi a più del 64% dopo due anni.
I ricercatori hanno tuttavia osservato che la risposta al trattamento non è stata omogenea: i risultati migliori si sono infatti osservati nei pazienti che avevano una buona funzionalità renale, si trovavano in stadi più precoci della malattia (ISS I–II), presentavano livelli normali di LDH (un marcatore nel sangue) e non avevano ricevuto daratumumab in precedenza.
Come tutti i trattamenti per il mieloma, IsaPd ha causato alcuni effetti collaterali, ma, nella maggior parte dei casi, sono stati gestibili: poco più della metà dei pazienti trattati ha avuto una riduzione dei globuli bianchi, aumentando il rischio di infezioni (che si è presentata almeno una volta, spesso a livello polmonare, nel 48% di loro). Tuttavia, solo un paziente ha interrotto la terapia, a causa di una reazione avversa all’infusione degli agenti chemioterapici.
Lo studio, quindi, conferma che IsaPd non è efficace solo nei trial clinici, ma funziona anche nella vita reale, con pazienti con mieloma multiplo recidivato o refrattario più anziani, fragili e dal quadro clinico più complesso, rappresentando così una buona opzione terapeutica per chi è già stato sottoposto ad altre cure senza successo.
Tuttavia, i pazienti con profilo genetico ad alto rischio o refrattari al daratumumab hanno avuto risultati peggiori. Per loro, saranno importanti strategie innovative, come le terapie CAR-T o gli anticorpi bispecifici, possibilmente da utilizzare in fasi più precoci della malattia.
L’articolo scientifico di Martino EA, et al., Isatuximab, pomalidomide, and dexamethasone as salvage therapy for patients with multiple myeloma: the Italian, multicenter, retrospective clinical experience with 270 cases outside of controlled clinical trials, pubblicato su Haematologica è disponibile a questo link: https://doi.org/10.3324/haematol.2024.286658