Nei pazienti adulti con leucemia linfoblastica acuta, che mantengono una malattia misurabile positiva nonostante precedenti terapie, il nuovo trattamento con Inotuzumab Ozogamicin apporta benefici in termini di riduzione della malattia minima residua, aumentando le chance di trapianto.

La leucemia linfoblastica acuta (LLA) è un tumore del sangue che causa un accumulo di linfociti immaturi nel sangue, nel midollo osseo e in altri organi. Il termine “acuta” sta a indicare che la malattia progredisce piuttosto velocemente. La prognosi dei pazienti affetti da leucemia linfoblastica acuta è negli anni migliorata grazie all’aggiunta di nuovi farmaci sempre più efficaci. Esiste però una sottopopolazione di pazienti per i quali la persistenza della malattia a un livello rilevabile (la cosiddetta malattia minima residua o malattia misurabile residua, MRD) rende più alto il rischio di ricaduta.

Nello studio GIMEMA ALL2418, ideato da Giovanni Martinelli, direttore scientifico dell’IRCCS Istituto Romagnolo per lo Studio dei Tumori “Dino Amadori”, e dalla sua equipe, è stata testata l’efficacia di un nuovo trattamento che prevede la somministrazione di Inotuzumab Ozogamicin (IO) in pazienti con LLA per cui non esistono altre linee di trattamento possibile. I risultati, presentati durante l’ultimo congresso dell’American Society of Hematology (ASH), sono positivi sia in termini di efficacia che di sicurezza.

L’Inotuzumab Ozogamicin è un farmaco coniugato a un anticorpo monoclonale che riconosce e lega in maniera specifica CD22, una porzione dei linfociti malati. “Abbiamo pianificato questo studio in cui l’IO è stato somministrato in pazienti in ricaduta molecolare, che non avevano altre linee di trattamento, e con malattia minima residua positiva.

Avere una MRD positiva significa che anche quando i pazienti vengono sottoposti al trapianto c’è il rischio che non abbia successo perché la malattia riprende prima di osservarne gli effetti”, spiega Giovanni Marconi, che ha condotto lo studio. “L’idea alla base era che utilizzare l’Inotuzumab Ozogamicin in questi pazienti potesse migliorarne la sopravvivenza e il trattamento”.

Lo studio GIMEMA ALL2418 è iniziato a ottobre 2019 e prevede l’arruolamento di 76 pazienti con LLA divisi in due coorti: quelli positivi alla mutazione del cromosoma Philadelphia e quelli negativi. L’obiettivo primario è valutare il numero di pazienti con malattia minima residua negativa dopo il trattamento con IO. Ad oggi, sono stati arruolati 51 pazienti e una prima analisi dei risultati ottenuti, condotta sui primi 39 arruolati, ha mostrato risultati positivi sia in termini di sicurezza che di efficacia, con il 37% dei pazienti trattati risultati candidabili al trapianto con cellule staminali:

“Abbiamo visto che circa la metà dei pazienti ha effettivamente avuto un beneficio immediato da questo tipo di trattamento, diventando negativa alla MRD. Chi invece non diventa negativo per la malattia misurabile spesso riduce la quantità di malattia.

Sono pochissimi i pazienti che nonostante il trattamento progrediscono o rimangono stabili nella loro malattia. Inoltre, il trattamento si è dimostrato sicuro in tutte le popolazioni trattate, sia nei più giovani che nei più anziani”, conclude i risultati Marconi.

Visti i risultati preliminari ottenuti, lo studio continuerà fino alla fine dell’arruolamento.