I pazienti affetti da leucemia mieloide cronica non corrono rischi in caso di maternità e paternità: né in fase di concepimento, né per quel che riguarda la prosecuzione, il termine della gravidanza e la successiva nascita e sviluppo del bambino. I risultati di uno studio GIMEMA presentati al congresso ASH2023.

Lo studio ha raccolto e studiato informazioni dettagliate riguardo le gravidanze che hanno coinvolto pazienti affetti da leucemia mieloide cronica, sia gestanti di sesso femminile che partner maschili affetti dalla malattia. L’obiettivo era analizzare gli effetti della malattia e dei farmaci assunti prima del concepimento e/o durante la gravidanza sulla fertilità, sulla gestazione, sullo sviluppo prenatale del feto e sulla crescita del bambino.

In particolare, presentati al congresso annuale della Società americana di ematologia ASH2023, i risultati dello studio hanno evidenziato come potenzialmente non vi siano particolari rischi né per le gestanti né per i bambini, mostrando come ad oggi la leucemia mieloide cronica non rappresenti più un ostacolo per l’inizio e il proseguimento di una gravidanza, come accadeva in passato.

La coorte di pazienti comprendeva pazienti di sesso maschile e femminile, in terapia con interferone e con inibitori delle tirosin-chinasi: imatinib (71%) e nilotinib (22%) nella coorte maschile; imatinib (43%) e nilotinib (33%) nella coorte femminile. Gli inibitori delle tirosin-chinasi sono stati interrotti dalle gestanti in concomitanza col test di gravidanza positivo e talvolta somministrati nuovamente a partire dalla ventunesima settimana di gestazione, momento nel quale si viene a formare la placenta, una barriera naturale in grado di proteggere il feto dalla tossicità del farmaco.

“Questo è tra i primi studi che raccoglie informazioni sullo stato di salute dei bambini a distanza anche di anni dalla nascita, per questo il titolo dello studio è ‘dalla parte dei bambini’.

Generalmente, infatti, ci si focalizzava solo sulle gestanti, che dovevano sospendere il trattamento con inibitori delle tirosin-chinasi in gravidanza per via del potenziale ruolo teratogeno di questi farmaci. Si valuta il verificarsi di progressione di malattia e, successivamente, le condizioni al parto e del bambino al momento della nascita”, ha spiegato Elisabetta Abruzzese, prima autrice della pubblicazione.

Il campione di bambini osservati è molto vasto e raggiunge anche adolescenti di 15 anni. I dati hanno mostrato come non sembri esserci un aumentato rischio di problemi di malformazione o di ritardo nello sviluppo fisico e cognitivo nei figli di pazienti affetti da leucemia mieloide cronica, anche nel caso di madri esposte alla terapia durante il periodo gestazionale.

È emerso, inoltre, come anche le gravidanze il cui concepimento è avvenuto da parte di pazienti di sesso maschile in trattamento non abbiano mostrato problemi, né sul concepimento, né per quel che riguarda la prosecuzione, il termine della gravidanza e la successiva nascita e sviluppo del bambino.

È stato, infine, valutato l’allattamento: anche in questo caso non sono emersi problemi, in quanto nel caso di donne in trattamento con interferone, il bambino non risulta assimilarlo attraverso il latte materno. “Alcune pazienti hanno allattato durante la terapia con interferone e nei neonati non è stato riscontrato alcun problema di crescita e sviluppo”, conclude la dottoressa.