Un recente studio ha cercato di capire quanto le nuove classificazioni della leucemia mieloide acuta, elaborate nel 2022 e basate su tecniche di analisi genetica, possano essere applicate in fase diagnostica e il loro significato prognostico.

La leucemia mieloide acuta (AML) è una patologia a rapida progressione che insorge nel midollo osseo a seguito di errori o mutazioni nel processo di maturazione delle cellule staminali da cui si sviluppano le cellule del sangue. La diagnosi, la definizione della prognosi e la scelta del trattamento più adatto si basano su classificazioni ufficiali, universalmente riconosciute, che ne individuano i diversi sottotipi utilizzando un approccio sempre più integrato, che tiene conto di diverse caratteristiche cliniche e di laboratorio.

Recentemente, i progressi ottenuti dalla medicina molecolare hanno chiaramente indicato l’utilità delle analisi citogenetiche e soprattutto molecolari, in grado di definire dei profili genomici associati a diverse forme di AML. In particolare, lo scorso anno, sono state proposte due classificazioni aggiornate – la quinta edizione della classificazione dei tumori dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS)  e la International Consensus Classification (ICC) delle Neoplasie Mieloidi e delle Leucemie Acute – e una nuova stratificazione prognostica della AML elaborata dall’European LeukemiaNet (ELN).

In un recente studio, pubblicato sulla rivista scientifica Blood Advances, un gruppo di lavoro costituito da ricercatori della Fondazione GIMEMA, dell’Università degli Studi di Roma Tor Vergata, dell’IRCCS Humanitas di Milano e della Cleveland Clinic (Ohio, USA) ha indagato le reali applicazioni di questi modelli nella pratica clinica, cercando di svelare eventuali discrepanze e testando la loro implementazione nella diagnosi della patologia.

Le nuove classificazioni si basano sulla definizione del profilo molecolare delle AML grazie all’utilizzo di tecniche innovative come ad esempio la next-generation sequencing (NGS), in grado di identificare alterazioni genetiche prima non descritte. “Ciò ha permesso – spiega Enrico Attardi, specialista ematologo al dipartimento di Biomedicina e Prevenzione dell’Università degli Studi di Roma Tor Vergata e primo autore dello studio – di identificare più correttamente le sottocategorie, basate sul profilo biologico, che spesso sono correlate con il rischio prognostico.

Con questi nuovi sistemi di classificazione, infatti, si riduce notevolmente la percentuale di AML ‘non classificate’”.

“Implementare l’uso delle tecniche di biologia molecolare – continua Adriano Venditti, direttore dell’Ematologia del Policlinico Tor Vergata e uno degli autori della ricerca – ha fatto sì che per alcune forme di AML si abbattesse la cosiddetta barriera del 20%”. Infatti, in passato per diagnosticare una AML era necessario che nel midollo osseo fosse presente almeno il 20% di cellule leucemiche. Oggi invece la sola presenza di specifiche alterazioni genetiche, dette defining genetic abnormalities, suggerisce la diagnosi di AML indipendentemente dalla quantità di cellule malate presenti nel midollo. “Nelle nuove classificazioni – prosegue Venditti – sono stati poi definiti dei set di alterazioni genetiche che permettono di identificare quelle forme di leucemia mieloide acuta correlate a sindromi mielodisplastiche, con prognosi solitamente più sfavorevole”.

Nello studio sono stati reclutati più di 1000 pazienti con diagnosi di AML, che sono stati riclassificati secondo i nuovi criteri diagnostici. Considerando come base la precedente classificazione OMS (del 2016), la classificazione OMS 2022 e quella dell’ICC presentano una variazione significativa (rispettivamente del 22,8% e 23,7%): questo si riflette, globalmente, in un miglioramento degli schemi diagnostici dei vari sottotipi della patologia. La re-stratificazione (rischio favorevole, intermedio e avverso) complessiva ottenuta confrontando i metodi proposti da ELN nel 2017 e nel 2022 è stata invece del 12,9%, risultando in un miglioramento della capacità prognostica rispetto alla versione precedente soprattutto per quanto riguarda il cosiddetto rischio favorevole.

Visti i risultati ottenuti, “ora sarà importante ipotizzare – spiega Attardi – un nuovo metodo di classificazione unitario, che utilizzi gli strumenti sviluppati e validati dai diversi gruppi di lavoro, unificandone gli sforzi.

Il tutto senza dimenticarsi dell’importanza di metodi diagnostici più tradizionali, come l’analisi del cariotipo, che riesce a darci informazioni importanti sulla definizione di molti sottotipi con tempistiche e costi generalmente inferiori alle tecniche di next-generation sequencing”.

Sempre pensando al futuro, infatti, “sarà necessario – commenta Venditti – rendere più efficiente la logistica del processo diagnostico: ad oggi, un test NGS fornisce i risultati anche in 30-40 giorni. A mio giudizio, la soluzione consiste nel centralizzare il più possibile queste attività diagnostiche molto sofisticate, identificando (come avviene in alcune realtà tedesche) centri qualificati che, lavorando in network siano in grado di fornire risposte in tempi brevi. In questo senso, ritengo che la comunità ematologica italiana sia pronta a raccogliere questa sfida, essendosi già organizzata in rete grazie al network laboratoristico LabNet, coordinato dal GIMEMA”.

Certo è che queste nuove classificazioni rappresentano una nuova speranza per i pazienti affetti da leucemia mieloide acuta: avere una migliore conoscenza delle caratteristiche molecolari di una patologia apre la strada a terapie innovative, già note come targeted therapies, ossia farmaci che possono colpire specificatamente un bersaglio molecolare. Infine, la dettagliata conoscenza del profilo molecolare della AML consente una più appropriata selezione del donatore, laddove sia necessario eseguire un trapianto di cellule staminali: la presenza di alterazioni genetiche a distribuzione familiare può indirizzare la ricerca del donatore al di fuori della famiglia, quindi sui registri nazionali ed internazionali.

 

L’articolo scientifico originale, in lingua inglese, è disponibile a questo link: https://doi.org/10.1182/bloodadvances.2023010173