In un paziente di 16 anni con una rara forma di leucemia linfoblastica acuta, TCF3::HLF t(17;19), la combinazione dei farmaci venetoclax, navitoclax e inotuzumab ha consentito di ottenere la remissione completa del tumore.

Nella leucemia linfoblastica acuta (LAL), la forma TCF3::HLF t(17;19) è rara, più frequente nei bambini e adolescenti ed è caratterizzata da una spiccata resistenza alla chemioterapia e un’elevata mortalità. Il recente successo di un’inedita combinazione di farmaci, in un ragazzo di 16 anni con questo tipo di tumore, potrebbe aprire la strada allo studio e futuro impiego di cure più efficaci. I risultati sono stati pubblicati sulla rivista scientifica British Journal of Haematology.

“All’esordio, la neoplasia era presente a livello midollare ed extra-midollare e coinvolgeva in modo diffuso il tessuto osseo”, spiega Francesca Gottardi, pediatra onco-ematologa all’IRCCS Azienda Ospedaliero-Universitaria di Bologna, che ha seguito il percorso clinico del ragazzo. Con i suoi colleghi, all’inizio ha sottoposto il paziente al protocollo standard (AIEOP BFM 2017 interventistico), ma al termine della terapia di induzione per i medici è stato evidente che bisognava cambiare approccio.

“Il tumore non rispondeva alla cura e continuava a progredire. Poiché era una forma rara con una prognosi infausta, abbiamo potuto attuare una strategia alternativa”.

In letteratura le informazioni sul TCF3::HLF t(17;19) sono ancora limitate: “Abbiamo preso spunto soprattutto da uno studio di Fischer del 2015 che ha analizzato le caratteristiche e il profilo molecolare di queste cellule tumorali in vitro e in vivo”, continua Francesca Gottardi. “I risultati stimavano che gli inibitori delle proteine anti-apoptotiche potevano funzionare nei pazienti con questo tipo di leucemia”. Bloccare queste vie, infatti, significa riattivare il meccanismo che induce la morte programmata delle cellule (apoptosi) e, nel caso delle cellule tumorali, contrastarne la crescita. Il gruppo di Francesca Gottardi ha quindi prelevato un campione di cellule tumorali dal paziente per effettuare alcune analisi preliminari e cercare di prevedere la risposta del ragazzo agli inibitori delle proteine anti-apoptotiche. “Dopo aver osservato che le cellule tumorali del ragazzo presentavano un’elevata espressione di trascritti anti-apoptotici, come BCL-2 e xL, abbiamo provato a trattarle con il farmaco venetoclax”.

I buoni risultati delle analisi preliminari hanno aiutato il gruppo dei clinici a definire la strategia di cura: somministrare venetoclax e navitoclax per aumentare la sensibilità del tumore alla chemioterapia, combinati con l’inotuzumab, un anticorpo monoclonale specifico per la leucemia linfoblastica coniugato con un chemioterapico.

“La risposta al trattamento è stata del tutto inaspettata, perché era la prima volta che osservavamo in un paziente i risultati di questa combinazione di farmaci”, afferma Francesca Gottardi: “La cura ha funzionato molto bene, portando alla remissione completa della malattia, anche a livello dello scheletro, senza effetti collaterali e quasi nessuna tossicità”.

Secondo Francesca Gottardi il motivo dell’efficacia della terapia si potrebbe ricollegare alle caratteristiche molecolari della malattia. Questo tipo di leucemia è infatti caratterizzato dalla traslocazione, detta TCF3::HLF, che coinvolge i cromosomi 17 e 19. Si tratta di una modifica nella loro conformazione che conferisce molti vantaggi alle cellule neoplastiche. “La traslocazione crea una sorta di molecola aberrante che rende le cellule tumorali capaci di sopravvivere e resistere alla chemioterapia. Supponiamo che il trattamento abbia funzionato così bene perché questa molecola potrebbe interagire con l’apoptosi”.

In seguito, il ragazzo è stato sottoposto a un trapianto di cellule staminali e, sfortunatamente, una grave infezione ne ha provocato il decesso. Ciononostante, per la comunità scientifica la sua storia clinica rappresenta un importante precedente. “Anche se si tratta di un caso isolato, la linea terapeutica utilizzata potrebbe essere utile, in futuro, per trattare pazienti con la stessa diagnosi”, conclude Francesca Gottardi. “Se i risultati saranno confermati in ulteriori studi e analisi cliniche, questa strategia terapeutica potrebbe diventare una risorsa in più per curare altri tipi di tumore poco rispondenti alle terapie”.