Le cellule natural killer (NK) rappresentano una speranza di trattamento, nel contesto delle terapie cellulari, per i pazienti affetti da leucemia linfoblastica acuta con cromosoma Philadelphia positivo che per età o comorbidità non possano ricevere i trattamenti standard.

È quanto emerso da uno studio clinico GIMEMA di fase I pubblicato su American Journal of Hematology e presentato al congresso dell’Associazione Europea di Ematologia (EHA) che si è tenuto a Vienna dal 9 al 17 giugno.
[14:05] Federica Passarelli

“La leucemia linfoblastica acuta con cromosoma Philadelphia positivo (ALL Ph+) è un tumore aggressivo che frequentemente ha prognosi sfavorevole soprattutto quando rimane un residuo di malattia dopo le terapie convenzionali. Inoltre, l’incidenza della malattia aumenta con l’età e spesso l’opzione terapeutica più efficace, ovvero il trapianto di midollo osseo, non è praticabile per l’anzianità dei pazienti o la presenza di concomitanti altre malattie che non permettono di tollerare l’aggressività del trattamento”, spiega Giovanni Fernando Torelli, ricercatore presso l’Università Sapienza di Roma e uno dei principali investigatori dello studio insieme a Sabina Chiaretti.

Per questo motivo, negli ultimi anni, la ricerca nell’ambito della leucemia linfoblastica acuta Ph+ si è concentrata nello sviluppare e testare terapie meno tossiche e più sopportabili nei pazienti anziani o con comorbidità. Particolare interesse è stato rivolto verso l’immunoterapia, che sembrerebbe dare risultati promettenti negli studi nei quali vengono testati protocolli di terapia che non prevedono l’utilizzo della chemioterapia come lo schema D-ALBA. Ma l’interesse è aumentato anche nello sfruttamento terapeutico delle cellule natural killer (NK), cellule del nostro sistema immunitario importanti nel riconoscimento e nella distruzione delle cellule tumorali.

“Il trattamento con le cellule natural killer si inserisce nel contesto delle terapie cellulari. Le cellule vengono prelevate dal paziente, espanse e manipolate in laboratorio per renderle più attive contro la leucemia e reinfuse ripetutamente nel paziente”, spiega Torelli.

Una volta prelevate dal paziente con una procedura definita leucoaferesi, le cellule vengono inviate a un laboratorio GMP (Good Manufacturing Practice) che ha ottenuto l’autorizzazione dell’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) per produrre terapie cellulari. Qui, le cellule vengono coltivate per 14 giorni, espanse e manipolate, per esempio con l’esposizione a molecole come Interleuchina-12 (IL-12) e Interleuchina-15 (IL-15) che inducono la proliferazione delle NK. Ne risultano cellule NK più aggressive nei confronti della leucemia in quanto vengono potenziate le loro attività antitumorali.

Quello condotto dal gruppo di ricerca romano è uno studio di fase I che ha lo scopo di valutare la sicurezza della terapia che viene somministrata per la prima volta negli esseri umani dopo la raccolta di numerosi dati preclinici che supportano l’ipotesi di sicurezza ed efficacia.

“Grazie ai risultati dello studio è stata dimostrata la sicurezza di questo trattamento nei 6 pazienti che sono stati coinvolti nella sperimentazione ma è stata anche evidenziata un’efficacia importante che ha portato 5 pazienti a una remissione molecolare di malattia senza l’utilizzo di chemioterapia suggerendo che le cellule natural killer così manipolate potrebbero in futuro diventare una valida opzione terapeutica per pazienti con leucemia linfoblastica acuta Ph+ non elegibili alle terapie convenzionali”, conclude Torelli.

Sono risultati incoraggianti che però dovranno essere confermati da successivi studi. A breve, infatti, sarà avviata la fase II della sperimentazione che coinvolgerà un maggior numero di pazienti in diversi centri italiani.