Una lettera da poco pubblicata sulla rivista Haematologica riporta l’analisi multicentrica condotta su 28 pazienti con leucemia acuta linfoblastica recidivante e refrattaria trattati, a uso compassionevole, con due farmaci BH3-mimetici (venetoclax e navitoclax) in grado di ripristinare il processo di morte cellulare programmata nelle cellule tumorali. I dati, seppur preliminari, sono incoraggianti e suggeriscono una possibile strategia di trattamento per le forme della malattia recidivanti o che non rispondono ad altre terapie.

Le terapie per la leucemia acuta linfoblastica (LAL) hanno portato significativi miglioramenti della prognosi dei pazienti. Ma, come molte forme tumorali, la LAL è una malattia estremamente eterogenea e vi sono tutt’ora persone che non rispondono ai trattamenti o presentano recidive dopo la chemioterapia o l’immunoterapia.

È per identificare nuove strategie terapeutiche che un gruppo di medici italiani ha condotto un’analisi retrospettiva, da poco pubblicata su Haematologica, per valutare l’attività di due farmaci che agiscono “sbloccando” il meccanismo con cui la cellula tumorale si protegge dalla morte programmata.

L’analisi multicentrica per i Bh3-mimetici

“L’intensità della terapia di prima linea è modulata a seconda dei diversi sottogruppi di pazienti, delle caratteristiche molecolari della malattia e sulla valutazione della risposta dopo la chemio e l’immunoterapia (la cosiddetta malattia minima residua)”, spiega Francesco Malfona, ematologo al dipartimento di Medicina Traslazionale e di Precisione dell’Università Sapienza di Roma e primo autore dello studio. “Tuttavia, il 15% circa dei pazienti presenta recidive di malattia o non risponde al trattamento. Per i pazienti che hanno esaurito le opzioni terapeutiche, è possibile utilizzare, con impiego compassionevole, i due farmaci venetoclax e navitoclax, che hanno già dimostrato di poter portare beneficio nel trattamento della LAL, ma a oggi non ancora approvati dagli enti regolatori europeo, EMA, e italiano, AIFA”.

Venetoclax e navitoclax sono BH3-mimetici: imitano delle proteine che regolano l’apoptosi o morte programmata, processo che si verifica quando una cellula è danneggiata. Nei tumori, questo meccanismo è alterato, e ciò contribuisce alla proliferazione incontrollata delle cellule tumorali. I BH3-mimetici consentono di ripristinarlo e rendere così la cellula nuovamente sensibile all’apoptosi.

“Abbiamo raccolto i dati da venti centri ematologici italiani partecipanti al Campus ALL, un network interattivo di specialisti nell’ambito della LAL”, continua Malfona.

Il gruppo di ricerca ha analizzato i dati di 28 pazienti con leucemia acuta linfoblastica, con un’età mediana relativamente giovane (37 anni), con malattia recidivante o refrattaria a numerose linee di terapia. A una minoranza dei pazienti (25%) è stato somministrato il solo venetoclax, mentre 21 hanno assunto la combinazione dei due farmaci. A 13 pazienti è stata aggiunta anche la chemioterapia.

Prospettive di trattamento

“Dopo il primo ciclo di trattamento, il 33% dei pazienti ha ottenuto la remissione completa della malattia, in particolare coloro che avevano ricevuto l’associazione dei due farmaci: un dato che evidenzia come la LAL sia una malattia aggressiva, contro cui è necessario agire su più bersagli molecolari. Un altro dato positivo è che la sopravvivenza dei pazienti che hanno ottenuto la remissione si mantiene anche a lungo termine.

Una piccola frazione dei pazienti ha anche potuto accedere al trapianto allogenico di cellule staminali emopoietiche, suggerendo come il trattamento con i BH3-mimetici possa rappresentare un consolidamento per riuscire poi ad avviare i pazienti al trapianto”, commenta Malfona. “La chemioterapia, invece, non offre risultati migliori alla combinazione di venetoclax e navitoclax, che hanno mostrato efficacia anche se non associati alla chemioterapia”.

Sono in corso diversi trial clinici che prevedono l’impiego di venetoclax e navitoclax e i dati a oggi disponibili, sebbene preliminari, suggeriscono che il loro uso potrebbe essere di particolare beneficio in una fase più precoce del trattamento della leucemia acuta linfoblastica.

“Anche i risultati del nostro studio, pur preliminari e derivati da un campione limitato, supportano il possibile ruolo dei BH3-mimetici nel trattamento della LAL. Uniti alla loro sicurezza e alla possibilità di somministrazione per via orale, ne fanno una strategia promettente per trattare pazienti che sarebbero altrimenti incurabili e per i quali, anche in considerazione dell’età relativamente giovane, la ricerca di una terapia è prioritaria”, conclude Malfona.